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Come difendere la fede (senza alzare la voce)

“Sei cattolico vero?”
E’ la domanda che sempre più spesso molti si sentono rivolgere nel corso di una conversazione, si tratti di una cena tra amici o della pausa caffè al bar fra colleghi, non appena questa si arena su un tema “sensibile”: l’aborto piuttosto che l’eutanasia, l’omosessualità, la contraccezione, la procreazione assistita, e così via. E il senso implicito della domanda è raramente amichevole: “Prova un po’ a spiegare l’insegnamento della Chiesa!” sembra sottintendere il critico di turno.

Ed ecco che il credente del gruppo diventa seduta stante – e spesso suo malgrado – il “portavoce ufficiale della Chiesa”, e si ritrova chiamato in causa per la sua fede, quasi a dover giustificare la posizione cattolica e a rendere conto della sua scelta davanti alla moderna inquisizione di umanisti secolari.

Stesso copione quando si tratta di un dibattito pubblico o di un programma radio-televisivo, dove inevitabilmente al cattolico viene affibiato il ruolo di retrogrado rappresentante di un’istituzione (la Chiesa) dogmatica, autoritaria e, in ultima analisi, disumana.

Ciò che spesso accade è che il malcapitato di turno finisce per balbettare una difesa che suona poco convincente (persino a se stesso) o al contrario per reagire stizzito e battagliero, contraddicendo di fatto quegli stessi principi cristiani che è chiamato a spiegare. Insomma: un fallimento.

E’ evidente invece come in queste circostanze sia essenziale argomentare in maniera convincente, rapida e pacata, senza aggressività né vittimismi, per riuscire a smontare i pregiudizi, smorzare la conflittualità e dialogare con tutti su temi che toccano l’intera società perchè profondamente umani.

Il fine è quello di aprire un canale di comunicazione con l’altro e riavviare il dialogo tra credenti e non: non tanto come difendere le posizioni quanto come esprimerle al meglio e mettere l’altro in condizione di capirle. Inoltre, in questo modo si forniscono anche gli strumenti giusti per argomentare laicamente a tutti coloro che – credenti e non – in ossequio a quel politically correct così fortemente promosso, hanno rinunciato a dire quello che pensano nel timore di essere etichettati come razzisti, oscurantisti, bigotti, omofobi o fascisti.

Con questo scopo debutta anche in Italia Catholic Voices, un progetto di comunicazione che si prefigge di migliorare il modo con cui trasmettere – attraverso i media ma anche nella vita di ogni giorno – la posizione cattolica.

La sfida è far capire l’impegno della Chiesa per il bene comune ad una cultura fortemente dominata dall’etica dell’autonomia e dall’individualismo. E far capire ai cattolici che è sui temi più scottanti – Catholic Voices le chiama “questioni nevralgiche” – che devono essere pronti a comunicare.

Le questioni nevralgiche sono quei temi su cui Chiesa e società sono spesso in disaccordo e che quindi appaiono come un terreno minato da evitare accuratamente, di fronte al quale tirarsi in dietro. Invece vanno considerate un’opportunità, un’occasione per chiarire qual’è veramente il punto di vista cattolico, per mostrare qual’è la vera storia.

Incoraggianti finora i precedenti: nato in Inghilterra nel 2010 per “supportare” mediaticamente la visita di Benedetto XVI nel Regno Unito, e rapidamente diffusosi in tutto il mondo (attualmente è presente in quindici Paesi, dagli Stati Uniti all’Australia, dal Canada al Sudamerica, dall’Olanda alla Spagna), il progetto Catholic Voices in questi anni ha trasformato centinaia di cattolici “in sonno” in efficaci comunicatori della propria fede, a proprio agio precisamente su quelle questioni nevralgiche e capaci, in ogni circostanza, di migliorare la comprensione del messaggio cristiano.

In Italia sono due gli strumenti attraverso i quali Catholic Voices articola la sua attività: da un lato un manuale ad uso e consumo dei cattolici, intitolato Come difendere la fede senza alzare la voce (da poco uscito per le edizioni Lindau), che prende in esame i temi più controversi dell’attualità, aiuta a capire qual’è l’origine delle accuse mosse alla Chiesa e suggerisce come spiegarne la posizione; dall’altro i corsi di media Training e Public Speaking rivolti a chi (singolarmente o in rappresentanza di gruppi, associazioni, diocesi, ecc) già interviene nel dibattito pubblico.

Al centro dell’approccio di Catholic Voices c’è il metodo del reframing, che parte dal presupposto che dietro ogni critica mossa alla Chiesa, anche la più ostile o pregiudiziale, si celi una “intenzione positiva”, un valore etico che è quasi sempre cristiano. Ora, partire da questo terreno comune, mostrando all’altro che in fondo facciamo riferimento agli stessi principi, per poi riformulare gli argomenti e invitare a riflettere sulla posta in gioco introducendo una prospettiva morale più ampia, non solo consente di avere un atteggiamento più empatico che predispone l’altro all’ascolto (e quindi al dialogo), ma aiuta anche i cattolici ad uscire da quelle cornici (frames) dentro le quali la cultura contemporanea tende a guardarli. Se invece, anche inconsciamente, queste cornici vengono rafforzate, ascolto e dialogo sono pregiudicati in partenza.

Prendiamo ad esempio il tema del suicidio assistito o dell’eutanasia, di cui si parla molto e di cui fatalmente si parlerà sempre più nei prossimi mesi. La “cornice” descrive i soliti cattolici fissati con il concetto della sofferenza, che vogliono imporre anche a chi non crede che la vita sia un dono di Dio di cui non possiamo disporre. L’intenzione positiva di chi ne chiede la legalizzazione sta nel voler risparmiare inutili sofferenze alle persone (un’intenzione, tra l’altro, autenticamente cristiana).

Ecco allora che il punto da cui partire è proprio questo: anche i cattolici concordano sul fatto che nessun essere umano debba essere condannato a intollerabili sofferenze, anche la Chiesa è contro quella che chiama “sofferenza inutile”, tanto è vero che la maggior parte delle strutture specializzate in cure palliative sono state fondate e sono gestite da cattolici, e che la Chiesa si batte perchè queste strutture – già adesso gratuite – siano sempre più numerose. Assodato che su questo punto ci si intende, si può parlare di quello che divide: il rischio di una deriva etica (a chi spetta stabilire quando una vita è inutile o non è più degna di essere vissuta?), il problema dell’autodeterminazione (è giusto che surclassi ogni altra considerazione?), quello dell’autonomia (fino a che punto le nostre scelte sono completamente autonome?), e affrontare le ricadute pratiche che una legge sul suicidio assistito avrebbe sul Servizio Sanitario, sul modo con cui la società guarda agli anziani e alle categorie di persone più deboli ed esposte, e così via.

Quindi, si può invitare l’altro a provare a immaginare come invece sarebbe bella (e davvero civile) una società dove queste strutture – che grazie ai progressi scientifici offrono terapie antalgiche in grado di controllare il dolore ma anche un contesto di affetto e compassione umana – siano a disposizione di tutti, per garantire a tutti una vera dignità anche in queste fasi della vita.
Insomma: se si imposta la conversazione in questo modo non ci sarà bisogno di alzare la voce perchè si sarà avviato uno scambio di opinioni razionale, in cui il cattolico avrà avuto modo di smentire un pregiudizio riguardo alla Chiesa.

Fare reframing non è essere buonisti o ingenui, al contrario: comporta la consapevolezza che la società contemporanea ha un atteggiamento pregiudiziale verso la Chiesa, cui impone delle cornici frutto di ideologia. La sola ingenuità è non rendersi conto di questo e non capire che chi le applica è mosso da una passione morale ed è, il più delle volte, un cristiano secolarizzato, il quale ha abbandonato la Chiesa ma continua ad aderire ai suoi valori.

Nel contesto liberal che vede la fede come un fatto privato e rifiuta come interferenza la presenza della religione nella sfera pubblica, per la Chiesa si fa sempre più arduo parlare senza rischiare di venire tacciata di ingerenza o di volersi imporre. Il rischio è che essa accetti il ruolo che le ha ritagliato il moderno secolarismo occidentale: quello di una istituzione privata e silente.

Per questo Papa Francesco (che del reframing è maestro) insiste sulla necessità di una maggiore parresia, quel coraggio apostolico, quella capacità di parlare con franchezza e senza timore anche in contesti ostili alla Chiesa. Parresia significa anche far sentire la propria voce, e la speranza di Catholic Voices è proprio quella di aiutare ogni cattolico a ritrovarla.

Martina Pastorelli
Fondatrice di Catholic Voices Italia e curatrice di Come difendere la fede senza alzare la voce

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