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Tra il Papa e Putin c’è sempre Assad

Perugia ─ C’è una ricostruzione laterale e un po’ zoppicante della storia recente, che vede nella giornata di digiuno e preghiera proclamata da Papa Francesco il 7 settembre del 2013 e nel contemporaneo intervento russo per mediare con il regime siriano, un passaggio fondamentale per la stabilità globale. In quei giorni di quasi due anni fa, gli americani stavano concretamente pensando a un intervento armato punitivo per colpire le infrastrutture militari di Damasco, dopo l’abominio di appena due settimane prima: l’attacco chimico con cui il presidente Bashar al Assad (è stato lui, al netto degli schiantati. NdA) aveva ucciso centinaia di civili innocenti nel quartiere capitolino di Goutha ─ quello che a tutt’oggi fa ancora da luogo di concentrazione delle forze ribelli. Ai tempi l’Isis non era “mainstream” (accezione relativa, s’intende) e c’era una chiara separazione tra i buoni, i ribelli che volevano libertà e democrazia, e i cattivi, il regime. La Casa Bianca traccheggiò, mentre il mondo si indignava “per una nuova guerra americana”, avallato dall’entrata a gamba tesa del Papa: «Sempre rimane il dubbio se questa guerra di qua o di là è davvero una guerra o è una guerra commerciale per vendere queste armi, o è per incrementarne il commercio illegale?» furono le parole del Pontefice sulla possibilità di un intervento militare americano ─ il Vaticano aveva un rapporto funzionale con il regime siriano, che era considerato un protettore delle minoranze e la cui caduta per mano dei ribelli islamisti poteva creare ripercussioni anche nel vicino Libano (anche se gli islamisti non rappresentano l’intera rivoluzione siriana, soprattutto due anni fa).

Fu così Vladimir Putin colse l’opportunità per accreditarsi il ruolo di beniamino di quella Pace nel mondo: e la storia prese una via diversa. Anziché beccarsi le bombe americane (e francesi, che avevano subito dato l’ok a partecipare ai raid), Assad fu inquadrato come interlocutore, e con lui si negoziò lo smantellamento dell’intero arsenale di armi chimiche ─ come se un giudice dicesse a uno che ha commesso un omicidio con una pistola, “non preoccuparti per il morto, l’importante è che adesso l’arma me la dai a me, che poi la butto via”.

A parte il fatto che anche il disarmo sembra che abbia avuto delle piccole lacune che potrebbero permettere ad Assad di ricostruire l’arsenale, e tralasciando che il regime siriano ha continuato a sfidare tutti utilizzando armi chimiche non convenzionali come le barrel bomb al cloro, a quelli che due anni fa pensavano alla pace nel mondo, manca un pezzo grosso della storia: il non intervento americano, non ha risolto niente ─ anzi, ora in Siria s’è perso il senso di quello che sta succedendo, e c’è pure lo Stato islamico che s’è mangiato un terzo del territorio del Paese.

Nel pomeriggio di oggi, Putin sarà in Italia e con una forzatura alla sua agenda ha chiesto di incontrare di nuovo Papa Francesco, richiesta che la diplomazia della Santa sede ha immediatamente accettato infilando l’appuntamento nell’altrettanto fitta agenda del pontefice. Il Vaticano è un crocevia diplomatico di primaria importanza ─ lo sblocco tra Cuba e Usa, la disputa tra Cile e Bolivia, la questione interna del Venezuela, i rapporti con l’Iran per il nucleare, la causa palestinese, sono alcuni dei dossier benedetti da Francesco. Le sanzioni internazionali non hanno bloccato il Papa, che aveva già dimostrato con l’incontro dello scorso anno di non partecipare al cordone d’isolamento creato dall’Occidente intorno alla Russia. Dall’altra parte, Putin s’è offerto di rappresentare il difensore dei cristiani in Medio Oriente ─ linea sottolineate dall’agenzia russa Interfax, che dice che l’incontro avrà questo come argomento centrale. È una visione neo-zarista quella della protezione dei cristiani d’Oriente, ma anche una strategia di riqualificazione diplomatica.

La crisi ucraina e la situazione russa, sono state al centro del G7 che si è chiuso due giorni fa ad Elmau, in Germania ─ si ricorda che si parla di “G7” e non più di “G8”, proprio perché le sette grandi potenze del mondo hanno chiuso la partecipazione al meeting all’ottava, la Russia appunto, per le responsabilità nella vicenda ucraina. Il presidente americano Barack Obama ha detto dal vertice bavarese che è arrivato il momento per Putin di prendere una decisione, o continuare a rovinare il suo Paese nel tentavo di ricreare glorie imperialiste passate, oppure «riconoscere che la grandezza della Russia non dipende dalla violazione dell’integrità territoriale e della sovranità di altri Paesi». La durezza di Obama nell’affrontare il dossier Russia, si è tradotta in pratica nella conferma delle sanzioni internazionali ─ che sarebbero scadute a luglio ─ da parte di tutti i partecipanti (la Cancelliere tedesca Angela Merkel ha detto che la fine delle sanzioni dipende soltanto dalla Russia).

La tensione resta alta, dunque, al netto della linea vaticana. Le continue provocazioni russe, con voli che violano gli spazi aerei nel Nord Europa, si abbinano ai fatti ben più gravi che arrivano dall’Ucraina. In realtà il conflitto non si è mai interrotto, e le violazioni alla tregua imposta dagli accordi “Minsk II” (già i “Minsk I” non avevano funzionato) sono quotidiane e ci sono testimonianze su un nuovo assembramento di unità militari russe verso i confini ucraini.

Il giorno prima dell’inizio del G7, il ministro della Difesa inglese, intervistato dalla BBC, aveva parlato della possibilità che sul suolo britannico venissero reintrodotte testate nucleari americane a medio raggio ─ ufficialmente, l’apparato atomico britannico consta solo del programma sottomarino Trident. Lunedì il sito specialistico The Aviationist segnalava l’arrivo di due bombardieri strategici americani B-2 Spirit alla base militare RAF di Fairford: una scelta abbastanza inusuale, infatti i B2 non si muovono quasi mai dalla Air Force Base di Whiteman, in Missouri, da dove normalmente partono e si addestrano per missioni transoceaniche (come in Libia nel 2011 o in Jugoslavia negli anni Novanta). A fianco al 509° Bomb Wing inglese di Fairford, la scorsa settimana erano già arrivati tre B-52 Stratofortress per partecipare alle esercitazioni multinazionali “Baltops 15” e “Saber Strike 15”. I bombardieri multiruolo schierati dal Comando Strategico americano (STRATCOM) resteranno pochi giorni, ma hanno un duplice scopo: creare fiducia nei confronti degli alleati, come dire “noi ci siamo, siamo pronti in qualsiasi momento, con il massimo del fuoco disponibile”; e contemporaneamente trasmettere un analogo messaggio di deterrenza alla Russia. Sotto la stessa ottica circa trecento paracadutisti della 173° Brigata aviotrasportata americana (che ha base alla caserma Ederle di Vicenza) hanno iniziato ad aprile il training di 700 elementi delle forze militari ucraine: i due eserciti avevano già fatto esercitazioni insieme, ma quello che si sta svolgendo al campo di Yavoriv, a centinaia di chilometri dal confine russo, è il primo caso di formazione diretta.

Il G7 di Elmau, che ha confermato in generale la fermezza con cui l’Occidente si sta opponendo alla prepotenza russa, allo stesso tempo però potrebbe aver segnato anche un passaggio di apertura. Ancora una volta la Russia potrebbe essere riqualificata attraverso un ruolo di mediazione: secondo le fonti dell’Independent, Mosca potrebbe lavorare in accordo con i partner occidentali per far leva su un possibile esilio del presidente siriano Assad, con il fine di permettere un aumento dell’intervento militare contro lo Stato islamico su suolo siriano. Sembra che la cena domenicale tra i leader al resort Schloss, sia stata turbata dall’analisi della deleteria situazione sul campo in Iraq e Siria e si è arrivati al punto di far di necessità virtù.

Washington e Mosca sul piano della lotta allo Stato islamico, concordano da tempo (almeno formalmente) che la soluzione migliore sarebbe un cambio di governo a Damasco ─ garantendo la possibilità di esilio ad Assad e a vari notabili del regime. E così il cambio della leadership potrebbe permettere alla Coalizione internazionale di fornire ufficialmente appoggio e collaborazione nella lotta al Califfato.

E chissà che non si parli anche di questo, oggi in Vaticano?

@danemblog

(Foto: Sergei Kapurnik / Reuters)

 

 

 

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