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Eni, Shell e Total. Chi attende un (lontano?) accordo con l’Iran

Il fatidico accordo sul nucleare iraniano non s’è ancora concretizzato, e forse slitterà ancora, ma c’è già chi intravede vantaggi dal ritorno del business internazionale nella Repubblica Islamica, a cominciare dai big del settore petrolifero.

LA MISSIONE DI ENI E SHELL

Negli scorsi giorni, delegazioni di Royal Dutch Shell ed Eni, secondo il Financial Times, si sarebbero recate a Teheran per discutere investimenti nell’industria oil iraniana e non solo. Stando alle indiscrezioni di stampa, per il Cane a sei zampe l’ad in persona, Claudio Descalzi, è volato nella capitale iraniana nel mese di maggio, dove ha incontrato il ministro responsabile della produzione petrolifera, Bijan Zanganeh. Mentre il gigante anglo-olandese ha invece confermato un incontro a Teheran nel mese di giugno, per discutere del debito accumulato dalla Compagnia Nazionale del Petrolio Iraniana per greggio estratto e non pagato in passato. Un discorso non dissimile da quello affrontato dal ceo di Eni, che a sua volta vanta un credito nei confronti di Teheran per circa 800 milioni di euro.

LE ALTRE COMPAGNIE

Nella corsa all’oro nero iraniano, Eni e Shell non sono concorrenti solitari. A bussare alla porta della Repubblica Islamica, scrive oggi sul Corriere della Sera Stefano Agnoli, ci sono anche “la francese Total, l’inglese Bp, l’austriaca Omv, la spagnola Repsol, la norvegese Statoil e qualche big a stelle e strisce come Conoco-Phillips”. Il mercato, d’altronde, è ghiotto. Senza più sanzioni e con gli effetti di una nuova legge petrolifera in discussione, la società di consulenza Wood Mackenzie, prosegue il quotidiano di Via Solferino, “stima che la produzione locale possa salire dai 2,7 milioni di barili al giorno attuali ai 4,4 milioni al 2025”. Un obiettivo facilmente raggiungibile per l’Iran, che ha dalla sua “le terze riserve di petrolio e gas al mondo dopo Russia e Venezuela”, con tre quarti “ancora da produrre”.

I TEMPI DELL’ACCORDO

In teoria, l’accordo sul nucleare iraniano dovrebbe essere chiuso entro il mese di giugno, il 30 per la precisione. Ma sia dalla Repubblica degli Ayatollah sia da parte dei negoziatori internazionali – Washington in testa – si lascia intendere che un nuovo slittamento non è da escludere, anzi, è del tutto probabile. In realtà anche le compagnie petrolifere hanno messo in conto tempi più lunghi sul fronte diplomatico prima che si possa riaprire la possibilità di tornare a lavorare in Iran, ma vogliono essere in pole position ai nastri di partenza quando ciò accadrà, spiega Foreign Policy.

I NODI CONTRATTUALI

Un compito non facile, perché, come racconta Foreign Affairs (e rimarcano le stesse compagnie petrolifere), quello delle sanzioni è solo il primo degli ostacoli da superare prima di poter riaprire le attività nel Paese. Il vero nodo sul quale le diplomazie delle big oil sono già al lavoro con le autorità iraniane è invece quello contrattuale. Teheran è l’unico Paese al mondo che ancora usa un tipo di contratto di buy-back, in cui ogni costo extra è a carico delle compagnie straniere e in cui eventuali profitti extra sono solo per il governo. Una formula che i giganti del settore vorrebbero sostituire con il più vantaggioso contratto standard utilizzato a livello internazionale, i cosiddetto Product Sharing Agreement, o PSA (che al contrario prevede che il governo riconosca alla compagnia straniera che investe una quota maggioritaria degli introiti produttivi fino a compensarla dell’investimento effettuato; solo dopo questo periodo, compagnia e governo si dividono gli introiti in percentuali prefissate).

I COLLOQUI PROSEGUONO

Si tratta ad ogni modo di questioni che sarà impossibile definire senza il raggiungimento di un accordo definitivo sul nucleare. Il tempo è agli sgoccioli e sono ancora molte, per chi insegue l’intesa, le divergenze da appianare e gli animi da calmare. Il segretario di Stato americano, John Kerry, è già a Vienna, dove da domani inizierà il decisivo round di colloqui con Teheran. Sabato lo raggiungerà nella capitale austriaca il capo della diplomazia iraniana, Mohamad Javad Zarif, insieme anche al ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius. E non mancheranno l’appuntamento i rappresentanti di Gran Bretagna, Germania, Cina e Russia, che insieme a Francia e Usa completano il gruppo 5+1. Tra i problemi da risolvere, per la stampa internazionale c’è in particolare lo stato delle ricerche iraniane in materia di sviluppo del nucleare, soprattutto sul versante militare, che preoccupa tanto Washington quanto suoi alleati da sempre contrari a un accordo come Israele e Arabia Saudita. Un rebus difficile da risolvere, almeno entro il limite fissato.

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