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Perché è Renzi che ha perso in Liguria

La sconfitta di Raffaella Paita, in Liguria, è la prima, vera e grande sconfitta dell’idea del Pd di Matteo Renzi.

Negli ultimi mesi, dal Jobs Act alla fiducia sull’Italicum, si è mostrata chiara ed evidente l’intenzione di Renzi di marginalizzare minoranza del suo partito e sinistra politica.

Due gli elementi che hanno mosso il premier in questa direzione: da una parte la sua personale ideologia, evidentemente non di sinistra; dall’altra la drammatica confusione che regna sovrana, ancor oggi, nel centrodestra. Così, l’intera azione politica del Renzi premier è stata indirizzata nel ricercare e in parte ritrovare proprio nel centro e nel centrodestra, il terreno più fertile dove cercare voti e allargare la base del Pd. A propria immagine e somiglianza.

E amen, se avesse perso qualche pezzo a sinistra. Quella sinistra “vecchia, logora, la sinistra del 25%”. Come ripetuto ossessivamente e provocatoriamente, fino a diventare un mantra, invocando quasi una reazione di chi a sinistra del proprio partito continuava a incassare, ancora. E ancora.

Così, in Liguria, le recenti elezioni hanno attuato sì un laboratorio politico, ma non quello della sinistra rosicona e scissionista denunciato dalla Paita perdente e dai peones renziani. Confondendo, consciamente o inconsciamente, causa ed effetto.

Il laboratorio, in Liguria, era quello del Pd a immagine e somiglianza del Premier, spaccato a sinistra e alla ricerca di un allargamento della propria base nel centrodestra.

Laboratorio cominciato a essere dipinto a gennaio, con le drammatiche primarie.

Allora, non è stata la sinistra rappresentata da Cofferati, ad aver rotto: è stato il Pd paitiano e renziano che ha fatto di tutto per estraniarla da partita e coalizione, immaginando di poter sfondare al centro e a destra e cominciando, alla luce del sole, una vera e propria campagna acquisti tra storici e attuali esponenti di centrodestra.

Primarie, quelle, corrose da veleni e contestazioni: primo test, superato pur in uno psicodramma nazionale, di quel concetto di partito che la nuova classe dirigente vuol far digerire a quella precedente. Dribblando ogni dialogo.

Il resto, è storia nota. Sergio Cofferati che abbandona da padre fondatore, denunciando come siano stati umiliati e calpestati valori alla base stessa dell’idea, originaria, del Partito democratico. Riducendo all’osso: legalità e perimetro di alleanze e ideali stessi del partito.

Denuncia, quella di Cofferati, liquidata con una pernacchia. Un altro rosicone. Un altro gufo, nel neolinguaggio renziano. “Andiamo avanti”.

Da allora, non è un caso che le questioni poste da Cofferati siano deflagrate con ancora più violenza, a livello nazionale: dall’opportunità di certe candidature, partendo proprio dalla Paita poi indagata per omicidio e disastro colposo, alle alleanze a geometrie variabili da governo all’intero stivale.

Lo hanno denunciato, sul piano nazionale, Pastorino prima e Civati poi. Altri gufi, che hanno tratto il dado e attraversato il Rubicone, quale confine di un Pd che per loro non era più sinistra. Col primo, Pastorino, grande accusato di oggi: colpevole di essersi candidato in reale alternativa a chi più non rappresentava la sinistra.

Ed è stato un tracollo verticale, quello del Pd ligure: ha perso la Paita, ma ha perso soprattutto l’idea arrogante del Pd renziano, sfrontata, che vuole vincere a tutti i costi, senza vergognarsi di guardare a destra e umiliare la sinistra. E il proprio passato.

Quest’idea, sino a oggi vincente, non solo ha perso nella sua variante al pesto, ma è stata proprio asfaltata dagli elettori, per usare un altro termine caro a Renzi. Stretta tra sinistra e moderati.

A sinistra, molto banalmente, gli elettori si sono chiesti perché mai avrebbero dovuto chi cerca e persegue politiche storicamente di centrodestra. Chi, poi, deluso da una candidatura come quella della Paita già indebolita dalla pesante cappa del Burlandismo e poi infiacchita da scandali, inchieste e alluvioni, ha cercato un rifugio a cinque stelle.

Tra i moderati, Giovanni Toti ha saputo coalizzare l’intera area tra centro e atteso exploit leghista, offrendo loro una casa e trovando così il clamoroso successo.

È la prima, netta, sconfitta dell’idea del Pd a immagine e somiglianza di Matteo Renzi.

Non è andato in onda l’ennesimo film della sinistra masochista, come pur compulsivamente denunciato dagli ultrà renziani. Questi, oggi, urlano ai tradimenti dei compagni, all’autoflagellazione della sinistra; alle trame, sinistre, di chi preferisce far vincere la destra.

Altro, ulteriore modo per aumentare le distanze, con chi ancora deve incassare senza essere ascoltato. Ennesimo invito allo strappo, a sinistra.

Certo, in perfetta coerenza con un’idea di Pd finora sempre vincente.

Ora sconfitta, in Liguria.

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