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Ma è più pericolosa al Qaeda o lo Stato islamico?

Non è un dibattito accademico, la spaccatura dottrinale tra i due mondi jihadisti avvenuta più di un anno fa, ha creato un ulteriore problema per la lotta la terrorismo islamico (che è unanimemente la principale fonte di pericolo).

Negli Stati Uniti i vertici delle organizzazioni governative che si occupano di sicurezza sono veramente incastrati sul decidere chi dei due sia peggiore. Ballano soldi, quelli del bilancio del counter-terrorism, che muove una cifra stimata che ha più zeri di un IBAN: 50 miliardi di dollari, scritto a parole per semplificare. E poi c’è da ridistribuire il personale. Per capirci, dei 100 mila dipendenti della Cia, oltre un quarto si occupa di terrorismo islamico. E poi ci sono quelli dell’Esercito, gli analisti delle altre istituzioni di intelligence, l’Fbi: i numeri non sono chiari, anche perché è difficile individuare quanto e quando le agenzie spostano uomini e risorse.

Per esempio, nel mese di giugno l’Fbi ha messo così tante persone sotto osservazione per possibili collusioni col mondo del terrorismo (per lo più si è trattato di potenziali proseliti dell’IS), che dalle risorse umane si sono visti costretti a riassegnare squadre che si occupavano di altri crimini per seguirle tutte.

La questione crea una spaccatura di vedute: Fbi, Dipartimento di Giustizia e Dipartimento della Homeland Security sono interessati di più ai movimenti dello Stato islamico. La ragione è comprensibile: differentemente da al Qaeda, il Califfo incita dai propri territori controllati a una specie di “self-made-jihad”. Il portavoce del Califfato, Abu Mohammed al Adnani, ha più volte spiegato nei propri discorsi pubblici (o meglio, pubblicati) che per combattere il jihad, non c’è necessità di creare un’organizzazione stabile e che sì sarebbe bene venire tutti in Siria e Iraq, ma alla fine si possono annientare gli infedeli anche comodamente dal divano di casa. Anzi, in suolo nemico, è quasi meglio muoversi per conto proprio, silenziosamente, magari improvvisando con armi non convenzionali («prendete un sasso e colpite, investite i nemici con la macchina» ha detto Adnani), e agire. Un problema di sicurezza interna enorme. Ognuno è un potenziale terrorista, nascosto all’interno della propria casa, potenzialmente pronto ad agire in nome di Allah. Non ci sono cellule, non ci sono incontri e riunioni che possono insospettire i servizi. Per questo le agenzie che seguono più direttamente le questioni interne, vedono nel threat creato dalla propaganda d’odio del Califfo il male peggiore. «Infestante» l’ha definito James B. Comey, il direttore dell’Fbi, al forum sulla Sicurezza di Aspen tre settimane fa.

Differentemente, per Pentagono, agenzie di intelligence e National Counterterrorism Center, la preoccupazione maggiore arriva da al Qaeda. Non è solo una questione storica: l’11 settembre è una ferita che sarà sempre sanguinante, ma sono effettivamente passati 14 anni dall’ultimo attentato qaedista contro gli Stati Uniti (anche se alcuni sono stati sventati). Il problema, però, è che le informazione dei servizi continuano a dire che tra le volontà dell’organizzazione guidata da Ayman al Zawahiri, continua ad esserci di colpire l’Occidente (gli USA) in grande stile. Si temono attacchi ancora una volta contro i voli di linea (a luglio 2014 la Transportation Security Administration aveva proibito di imbarcare sui velivoli cellulari e portatili privi di carica, perché potevano essere potenziali ordigni esplosivi). Nello specifico, queste agenzie che si occupano prevalentemente di Esteri, hanno individuato in Aqap, al Qaeda nella Penisola Araba, la branca yemenita dell’organizzazione, il nemico principale. È noto infatti che tempo fa Zawahiri ha affidato ad Aqap il compito di colpire al’estero, ma i funzionari dell’intelligence americana dicono di non sottovalutare nemmeno la possibilità che dalle postazioni conquistate in Siria, si possano iniziare a formare nuclei operativi per missioni estere ─ qui la cosa assume contorni un po’ più sfocati, e sembra un tentativo di giustificare le azioni contro la Jabhat al Nusra, al Qaeda in Siria, e lo storytelling sul fantomatico gruppo Khorasan.

La questione contorna anche il dibattito per le presidenziali: Marco Rubio, candidato repubblicano dalla Florida, ha accusato Hillary Clinton di non aver completato il lavoro, forzando il ritiro dall’Iraq (ai tempi la Clinton era segretario di Stato) e aver permesso la creazione dell’Isis. Un problema in più, mentre prima c’era solo al Qaeda a cui pensare.

@danemblog 

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