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Ribelli siriani addestrati dagli USA (LOL): fine momentanea della storia e prime exit strategy

Perugia ─ «Si continuano a vedere volontari che vogliono fare parte di questo programma» ha detto il colonnello dell’Air Force Pat Ryder, uno dei portavoce del dipartimento della Difesa americana. Il programma di cui parla è quello con cui l’Amministrazione americana ha addestrato un gruppo di ribelli siriani per mandarli a combattere contro lo Stato islamico (regola ferrea: niente scontri con i lealisti di Bashar al Assad).

Il loro nome sarebbe stato “New Syrian Force” e dovevano essere un contingente di 15 mila uomini (creato in tre anni), rigorosamente selezionato per evitare infiltrazioni jihadiste, e il Pentagono aveva a disposizione 500 milioni di dollari per il training da fare lontano dal fronte; quei soldi dovevano servire anche per fornire armamenti avanzati prima di rimandare i ribelli in Siria attraverso il confine turco. È passato un anno dall’inizio del programma, e ne sono stati addestrati meno di sessanta, 54 per l’esattezza.

Non c’è dubbio, cinquantaquattro uomini, anche se ben addestrati, non avrebbero potuto far granché all’interno del teatro operativo siriano, che definire caotico e violento è riduttivo. E ci sono ancora a disposizione dei soldi di quel mezzo miliardo stanziato, ma il problema è trovare reclute adatte. Sembra che sia in ultimazione una seconda tranche di combattenti, ma anche questi sono meno di cento, mentre una terza è ancora in una remota fase di selezione. Nonostante tutto, però, ufficialmente nessuno dell’Amministrazione è convinto che il programma di creazione di questa forza straniera combattente ─ che detto in soldoni doveva servire per sostituire i soldati americani sul campo di battaglia ed evitare perdite  ─ sia un completo fallimento.

Quando si dice “completo fallimento” non si usa un’iperbole o una semplificazione d’opinione, perché in effetti ora quei ribelli-americani (questa invece è una semplificazione) sono rimasti zero. Zero, nessuno, non ci sono più.

Il 29 luglio, non hanno avuto nemmeno il tempo di mettere gli stivali in suolo siriano, che hanno subito un attacco dalla filiale qaedista locale, la Jabhat al Nusra. Il leader del gruppo US-led, Nadeem Hassan, è stato rapito insieme al suo vice, un paio di quadri e un altro po’ di combattenti. Il giorno successivo, un nuovo attacco di JN ha disperso i restanti ribelli rimasti fermi, senza testa e ordini, in una base momentanea vicino al confine turco: chi ce l’ha fatta è scappato in braccio ai curdi, cinque sono stati uccisi, i restanti esibiti come trofeo in un video diffuso in internet.

Al Nusra è stata chiara con gli Stati Uniti: come pretendete di inviare dei vostri uomini in Siria, senza che noi li attacchiamo? JN è qaedista, dunque nemica ideologica dello Stato islamico, e dunque condivide un altro nemico con i ribelli ─ un altro oltre Assad. Allo stesso tempo, però, JN è nemica degli americani, come lo è al Qaeda: non bastasse dal settembre 2014 gli USA hanno messo tra gli obiettivi siriani anche postazioni di al Nusra ─ che ricorderete sono state bombardate inizialmente usando la pericolosità del fantomatico gruppo Khorasan come proxy. Dunque, come ovvio, JN ha bloccato subito il gruppo filo-americano sia per rappresaglia, sia perché questi ribelli dovrebbero avere anche il compito di segnare da terra i bersagli per gli airstrike della Coalizione, e magari c’era il rischio che uno di questi potesse essere una postazione di al Nusra.

Nadeem Hassan è anche il capo della fazione ribelle “Divisione 30”, che ha fornito la maggioranza di quei cinquantaquattro ribelli-americani. Divisione 30 è un gruppo combattente storico nel conflitto siriano, tra i primi ad essersi messo in armi contro il regime. Ora, gli uomini che non sono entrati nel programma americano e sono rimasti a combattere sul campo, devono farsi carico dell’imbarazzo americano e barcamenarsi per tenersi cara la pelle, per questo diffondono comunicati in cui rivendicano la necessità di combattere anche l’esercito di Assad ─ uno dei motivi per cui c’è poca adesione al progetto di Washington ─ e in cui prendono le distanze dai bombardamenti americani contro al Nusra.

Conseguenze geopolitiche del pastrocchio. I ribelli-americani, dovevano essere anche i garanti della buffer-zone promessa alla Turchia a saldo del coinvolgimento diretto di Ankara nella guerra al Califfo. Ma fu lo stesso Hassan, in un’intervista al New York Times, a spiegare che i suoi non avrebbero tenuto fronte che per pochi metri a eventuali assalti, altroché “68 miglia IS-free”.

Ufficialmente, s’è detto, la linea dell’Amministrazione è quella di continuare a sostenere il programma, però iniziano a intravedersi anche i primi segnali di collasso. Il 7 luglio, Martin Dempsey, il generale a Capo dello stato maggiore congiunto americano, in una testimonianza davanti alla Commissione Forze Armate del Senato ha parlato della necessità di avere «opzioni». «Stiamo cercando di formare una rete di partner, partner che forse non abbiamo concepito prima, come l’YPG, i curdi siriani intorno Kobanê e verso la sponda orientale del fiume Eufrate» ha detto Dempsey. I curdi siriani in effetti sono stati un prezioso alleato americano al confine settentrionale del Paese, e si parla da tempo del coordinamento degli attacchi aerei della Coalizione con i combattenti del Rojava a terra.

Farli digerire alla Turchia, è tutto un altro argomento: l’YPG è alleato dei nemici storici di Ankara, il PKK, i curdi separatisti turchi, finiti anche in questi giorni sotto le bombe dei caccia turchi partiti per colpire il Califfo.

@danemblog

 

 

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