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Il voto della Catalogna non risveglierà tentazioni separatiste in Europa. Parla Campi

Gli assetti istituzionali e politici in Spagna, il possibile effetto domino in molte regioni europee e la tenuta dell’Unione Europea.

Ecco alcuni dei temi toccati in una conversazione di Formiche.net con Alessandro Campi, docente di Storia del pensiero politico all’università di Perugia, per approfondire le conseguenze del voto di ieri in Catalogna.

Il voto in Catalogna rappresenta di più una sconfitta di Mariano Rajoy o una vittoria dei separatisti di Mas?

Entrambe le cose. Il leader catalano ha voluto la prova di forza con Madrid, trasformando un appuntamento amministrativo in un referendum popolare, e l’ha parzialmente vinta. Ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi (anche se non la maggioranza dei voti) e tanto gli basta per proseguire, stando almeno alle sue prime dichiarazioni, lungo la strada che dovrebbe portare la Catalogna all’indipendenza.

E il premier Rajoy?

Il capo del governo spagnolo ha invece pagato la sua ostinazione e la sua miopia. Ha pensato di ingaggiare con la Catalogna una battaglia giuridico-legale senza rendersi conto che si tratta di una partita essenzialmente politica. Aver ad esempio dichiarato incostituzionale il referendum del novembre 2014 non ha fatto altro che alimentare la propaganda nazionalista. Se i popolari spagnoli si fossero comportati con i catalani come hanno invece fatto i conservatori britannici con gli indipendentisti scozzesi, forse le cose avrebbero preso una piega diversa. Cameron ha accettato il rischio di un referendum secessionista, ha consentito agli scozzesi di decidere in modo democratico sul proprio futuro ma così facendo ha vinto la sua battaglia.

In Spagna ormai è la secessione l’esito più probabile o ci sono ancora margini per evitarla?

Dipende dall’atteggiamento che terranno i due contendenti. La Catalogna, che già gode di uno status di grande autonomia, ha davvero interesse a farsi Stato sovrano con tutte le incognite del caso (a partire dal rischio di uscita forzata dall’Unione europea)? Può darsi che il voto serva ad Arturo Mas per strappare ulteriori concessioni (ad esempio in materia fiscale). In questo caso la minaccia della secessione non sarebbe altro che un’arma negoziale. Ma dipende anche dall’atteggiamento che terrà a questo punto Madrid. Il governo centrale continuerà a utilizzare la Carta come argomento per non dialogare? La separazione, peraltro in forme brusche e laceranti, non conviene effettivamente a nessuno. Trascorsa l’euforia della vittoria e quella della sconfitta, bisogna che i contendenti ritrovino un po’ di ragionevolezza e di buon senso.

Quali gli effetti in Europa del voto di ieri?

Il rischio che molti paventano è che si possa ovunque risvegliare (Italia inclusa) il vento dell’autonomismo. Ma il caso della Catalogna è piuttosto particolare. Sono poche le “nazioni” europee che possono realmente rivendicare una sorta di diritto storico a farsi Stato autonomo e sovrano. Certo, non c’è nessun possibile paragone con la Padania, che è solo un’invenzione e non affonda come realtà politica, linguistica e culturale in nessun passato. Quanto agli altri movimenti indipendentisti sparsi per l’Europa, molti saggiamente si accontentano di vedere riconosciuta la loro autonomia, lasciando perdere qualunque richiesta di autodeterminazione. Altri, invece, non sono altro che realtà marginali o, peggio ancora, fenomeni al limite del folcloristico.

Lucio Caracciolo su Repubblica ha scritto che le elezioni catalane aprono la “strada a una possibile rivoluzione geopolitica in Europa“. Lo pensa anche lei?

Caracciolo parla di rivoluzione geopolitica con riferimento alla nascita di uno Stato catalano, prospettiva che però mi sento di escludere. In ogni caso, bisognerebbe anche smetterla con questa forma di paranoia politica (ma non mi sembra il caso, sia chiaro, del direttore di “Limes”) che nasce dalla prospettiva di un’Europa unita che, prima o poi, potrebbe perdere qualche pezzo. Si ripete il copione drammatizzante già visto con la Grecia. Se quest’ultima fosse uscita dall’Unione, il progetto europeo sarebbe andato avanti lo stesso, ma con uno Stato in meno. Sarebbe stato semmai un problema dei greci. Allo stesso modo accadrebbe se la Catalogna, divenuto Stato sovrano, dovesse trovarsi fuori dall’Europa per sua esplicita volontà. Cosa mai dovrebbe succedere di così terribile… Un club che perde un suo socio non per questo chiude i battenti.

Ci potrebbe essere per così dire un effetto a catena sia in Spagna sia in Europa con altre regioni pronte a chiedere l’indipendenza?

Quando si votò in Scozia, si parlò anche in quel caso del rischio di un effetto a catena. Hanno vinto i contrari all’indipendenza dalla Gran Bretagna e tutto è finito. Sono convinto che se ci fosse un referendum anche in Catalogna, alla fine vincerebbero i contrari alla secessione. Detto questo, non vedo quali altri “popoli” d’Europa pronti a mobilitarsi per far valere il loro diritto all’autodeterminazione e trasformarsi in Stato sovrano. Perché di questo stiamo parlando: non di devoluzione o autonomia ma di secessione politica: di nazioni, più o meno antiche, più o meno fasulle e più o meno grandi, che dovrebbero diventare entità politicamente autonome. Non mi riesce di immaginare chi a questo punto vorrà rivendicare – sull’esempio degli scozzesi e dei catalani – il proprio diritto all’indipendenza: i Gallesi, i Sardi, i Corsi, i Veneti, i Galiziani, i Bretoni?

Salvini ha salutato con favore il voto, ma la Lega non aveva rottamato l’indipendentismo padano?

Mentre si parla di far nascere la Lega Nazionale, si torna a invocare il mito della secessione della Padania. Sono le contraddizioni e gli assurdi della politica italiana, che gli elettori purtroppo non censurano e non sanciscono.

In Italia esistono situazioni simili a quelle della Catalogna oppure la secessione ormai è solo un vessillo cui aggrapparsi ogni tanto senza convinzione?

Non si capisce quale entità storico-politico-territoriale dovrebbe separarsi dall’Italia e in nome di che cosa. La Padania, come ho spiegato, dal mio punto di vista semplicemente non esiste. Ho sempre considerato il secessionismo leghista-padano una bufala politica. Per meglio dire: un mito disgregatore, che ha contribuito a indebolire il senso dell’appartenenza nazionale senza mai costruire una prospettiva politica praticabile. Tanto che alla fine gli stessi leghisti hanno smesso di crederci. Se ancora ne parlano, è solo per nostalgia delle origini o perché non sono riusciti a inventarsi altro (a parte la caccia allo straniero).

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