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La Cancelliera d’Europa

Angela Merkel non è solita tradire emozioni. Nota per una cautela ai limiti dell’attendismo, spesso accusata di tatticismo, criticata per la gestione dilatoria della crisi greca, di quella finanziaria, di far proprie politiche socialdemocratiche rinunciando a quelle del proprio partito, questa donna riflessiva, poco versata nell’oratoria, cambia radicalmente registro e toni davanti alle masse di disperati che si accalcano alle frontiere d’Europa.
Di fronte a questi fatti, la reazione dello Stato tedesco si articola in due momenti apparentemente diversi, ma non contraddittori. Prima, l’atto generoso della Cancelliera è quello di tutta la Germania che ha digerito, metabolizzato, sussunto nel proprio dna, i principi di accoglienza, rispetto del diverso e della dignità dell’essere umano. Una primazìa del diritto introiettato come riflesso degli orrori e dei crimini della seconda guerra mondiale.
Dietro Angela Merkel, in manifestazioni ferme e colorate, si è schierata la massa. Il popolo tedesco ha ormai imparato a riconoscersi in questa riedizione di entità organica, distante e tuttavia simile alle altre scure masse della storia recente. Oggi lo ritroviamo stretto attorno ai valori fondanti della Bundesrepublik. Nelle strade ha dissolto nel suo dissenso radicale il peso di tutti i movimenti neofascisti, le Pegida anti islamiche o le paure dello straniero.
In un secondo momento, l’atto di realismo che ne è conseguito a distanza di pochi giorni ha prodotto la decisione di chiudere le frontiere; la sospensione di Schengen, annunciata dal Ministro degli Interni de Mazière. Lo hanno scritto e detto tutti. Non è stato, questo, un ripudio, né un rigetto di quel primo atto, e insieme della radicale affermazione e rivendicazione dei valori fondanti della nostra civiltà giuridica. Piuttosto, si è trattato di un appello all’Europa.
Un grido di dolore e rabbia personalissimo della Cancelliera. Lo stesso che ha vibrato di sdegno percettibile, quando questa donna normalmente pacata rispondeva senza nominarlo, martedì, alle accuse del compagno di partito Seehofer, che lamentava una pessima gestione della crisi umanitaria.
“Dirò schiettamente, devo farlo: Se si comincia adesso, se cominciamo a scusarci per avere mostrato un volto amichevole in una situazione di emergenza, allora questo non è il mio paese.”
Una frase carica di emotività. Radicalmente chiaro il messaggio. Quanto chiaro era stato l’appello di Angela  Merkel, rivolto pochi giorni prima in televisione ai propri concittadini e, implicitamente, ai partner occidentali chiamati a riconoscere la propria responsabilità, dall’Irak alle cd. primavere arabe, nella distruzione delle strutture statuali della regione. L’azzeramento delle preesistenti burocrazie locali ha divelto ogni fondamento di convivenza civile, reso impossibile l’esercizio delle funzioni della sovranità e cancellato ogni pretesa di egemonia dell’uso della forza. Aprendo, in definitiva, la strada all’ISIS.

WILLIAM OVERHOLT

Su una linea analoga, William Overholt. In un recente articolo dal titolo “The Enemy is Us” (http://theoverholtgroup.com/media/Articles-Asia-General/TIE_Su15_Overholt_Symp.pdf), il professore di Harvard, grande conoscitore della Cina ed esperto di relazioni internazionali, ricorda come la supremazia americana, dal dopoguerra a circa il 2000, sia stata assicurata da un’intelligente prevalenza dell’economia sull’esercito. Azioni di costruzione e ricostruzione economica, Piano Marshal, libero commercio, il sistema delle istituzioni di Bretton Woods consentirono la pacificazione e lo sviluppo di interi continenti. Quando gli strateghi militari hanno sostituito gli esperti economici, quando la forza militare ha prevalso sulle ragioni della razionalità economica, a Washington è cominciato il declino. Un  radicale cambio di paradigma nella politica estera americana che Overholt racconta nell’ “articolo più importante che ho scritto da anni.”

L’APPELLO DI PUTIN

Altro appello all’occidente da un’altra, non meno tormentata, regione del mondo. Presente per una conferenza a Dushanbe, in Tajikistan, con poche dichiarazioni Putin rimetteva in discussione la lettura “ortodossa” degli interessi russi in Siria. Il Presidente russo, in particolare, auspicando un intervento congiunto contro l’ISIS, spiegava: “Basic common sense and a sense of responsibility for global and regional security require the international community to join forces against this threat.”

LA VECCHIA EUROPA ALLA RICERCA DELL’IDENTITA’ PERDUTA

Sul fronte interno Germania ed Europa sono oggi chiamate, per la prima volta dal secondo conflitto mondiale, ad una presa di coscienza e a un ripensamento collettivo. Dopo la bonaccia postbellica, resa molle dall’illusione di una troppo precaria sicurezza, per sopravvivere l’Europa dovrà imparare a riaffermare se stessa. Cultura e appartenenza sono stati concetti osteggiati da una certa area politico-culturale.
Le parole del cristiano-democratico bavarese Edmund Stoiber sono un chiaro monito. Da chi arriva, migranti o profughi, dovremo pretendere con fermezza e intransigenza il riconoscimento della prevalenza della nostra civiltà. Tedesca, Italiana, Europea. Un sistema di diritto fondato sulla separazione tra stato e religione, sulla libertà di parola e di espressione, sull’uguaglianza davanti alla legge. Soprattutto importante, a confronto con il mondo musulmano, sull’empowerement delle donne.

ANGELA MERKEL E LO STATO DI DIRITTO

E qui torniamo alla Cancelliera. Di qualche settimana fa l’incontro di Angela Merkel con un’adolescente palestinese. L’episodio, molto discusso, ha dato la stura ad una serie di polemiche e critiche. In sintesi, Merkel ricordò alla ragazza che non tutti i richiedenti asilo avrebbero potuto essere accolti nel paese. Fu accusata allora di insensibilità. Quella, in uno Stato di Diritto, era però l’unica risposta possibile. Laddove tutti sono –  o dovrebbero essere – in condizioni di uguaglianza davanti alla legge, non può un evento accidentale, l’incontro con un’autorità, cambiare il corso del destino o l’affermazione del diritto di un individuo. Torneremmo in tal caso al privilegio del monarca. Angela Merkel dixit.

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