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L’ira funesta del pelide D’Alema

Se davanti al terrorismo fondamentalista non vogliamo diventare ciechi senza speranza, dobbiamo guardare in faccia la realtà. E la realtà è che, sul piano teologico come su quello politico-culturale, esiste una distanza incolmabile tra islam e cristianesimo. Jacques Ellul, studioso vicino a Karl Barth, l’aveva definita una “parentela impossibile”. Perché, come spiega Alain Besançon nella prefazione al suo libro postumo “Islam e cristianesimo” (Lindau, 2006) seguire l’irrazionalismo cristiano per i musulmani equivale a porsi al di fuori della razza umana. In fatto di tolleranza, quindi, noi pretendiamo da loro una reciprocità che non ci possono dare. È vero: gli sciiti e i sunniti si scannano tra loro, ma se il presunto o sedicente “islam moderato” è sempre dietro l’angolo o sempre alle nostre spalle, una ragione ci sarà. La democrazia liberale non si può esportare, come voleva George W. Bush in Iraq. Ma bisognerebbe almeno evitare l’avanzata di una teocrazia violenta e affamata di potere. Significa intervenire militarmente in Siria e in Libano? Beninteso, è un’opzione rischiosissima. Ma non può essere esclusa in nome della realpolitik. Perché è proprio la realpolitik di Hollande, Cameron e Obama all’origine dei disastri – anche umanitari – che rischiano di travolgere l’Europa (meno male che Angela c’è).

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Ricordo che in un’intervista al Corriere della Sera (18 ottobre 2012) Marianna Madia raccontava entusiasta che in un conciliabolo di deputati del Pd Massimo D’Alema si era messo a recitare l’Iliade. La cortigianeria della giovane parlamentare era così genuina che allora le ho creduto sulla parola. Anche perché l’accento fondamentale del poema omerico è l”eroico”, nell’accezione di ciò che è superiore alle ordinarie gesta umane. Del resto, l’Iliade non racconta la guerra di Troia, ma principalmente solo un suo episodio: l’ira di Achille. In verità l’ira è duplice, non una. Nella prima l’invincibile combattente si ritira con sdegnoso risentimento nella sua tenda dopo che Agamennone, capo supremo degli Achei, gli ha preso la schiava Briseide e non intende restituirla. Nella seconda scende in battaglia in preda a una furia collerica con le sue truppe, i terribili Mirmidoni, deciso a vendicare il fraterno amico Patroclo ucciso in duello da Ettore. Ecco, confesso che l’ira del pelide D’Alema di oggi (le cui truppe – i terribili Mirmidoni-  si sono asserragliate nelle trincee della “ditta”) mi ricorda soprattutto l’Achille che si ritira sdegnoso nella sua tenda (la Fondazione Italianieuropei) dopo che Agamennone (Renzi), capo supremo degli Achei (i democratici) gli ha preso la schiava Briseide (il Pd) e non intende restituirla.

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Pur avendo una certa dimestichezza con le tortuosità della sinistra italiana, confesso che senza i preziosissimi portolani di Formiche.net non capirei un fico secco di quel cafarnao che è il dibattito interno al Pd sulla riforma del Senato. Certe volte ricorda “Hellzapoppin”, il film diretto nel 1941 da Henry C. Potter, pietra miliare della commedia dell’assurdo e del surreale. Purtroppo, osservando le rotte di navigazione decise a Palazzo Madama, “Non è pileggio [traversata audace] da picciola barca/ Quel, che fendendo va l’ardita prora,/ Né da da nocchier ch’a se medesmo parca [ si risparmia per paura]” (Dante, Paradiso, Canto XXIII).

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