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I profughi sono una manna o un flagello? Dibattito in Germania

I profughi non sono la manna caduta dal cielo, ma nemmeno un flagello epocale. Mentre migliaia di tedeschi si prodigano a dare una mano ai nuovi e il governo federale decide misure per sostenere comuni e regioni, gli istituti di ricerca economici approntano studi per capire quali effetti avrà l’arrivo di un milione e passa di profughi (secondo quanto scrive il tabloid Bild addirittura 1,5 milioni quest’anno) sull’economia del paese.

Diversamente da quanto temuto i risultati non sono però inquietanti, anzi c’è di che stare sereni. E’ vero, il tesoriere Wolfgang Schäuble dovrà spendere 3 miliardi di euro in più quest’anno e l’anno prossimo il doppio, per dare una casa e il necessario per vivere a ognuno degli aventi diritto all’asilo (l’Ocse calcola che si tratti del 40 per cento dei nuovi arrivati).

Nel pacchetto di misure appena approvato, il governo federale sosterrà comuni e Länder con 650 euro per ognuno dei richiedenti asilo. Ma nonostante queste maggiori spese non si prevede un nuovo indebitamento né quest’anno né l’anno prossimo, fanno sapere gli economisti dell’IMK (l’Istituto di studi macroeconomici e congiunturali). Anzi. Come spiega Gustav Horn, direttore dell’IMK al quotidiano Süddeutsche Zeitung, “i profughi possono avere l’effetto di un pacchetto congiunturale”. Perché sul mercato vi saranno più lavoratori specializzati, più professionisti e, soprattutto, più contribuenti per le casse pensionistiche.

E non è nemmeno vero che i nuovi lavoratori contribuiranno ad abbassare il livello dei salari. Qualche giorno fa alcuni politici dell’Unione (Cdu e Csu) hanno chiesto di escludere gli aventi diritto diritto di asilo dalla normativa del salario minimo (entrato in vigore quest’anno e che fissa a 8,50 euro lordi il compenso minimo per ora), affinché possano trovare più facilmente lavoro. Angela Merkel e il suo ministro per il Lavoro, la socialdemocratica Andrea Nahles, hanno risposto con un secco no. La creazione di un mercato del lavoro di serie B non è un ipotesi da prendere in considerazione.

Stando poi a studi compiuti dall’OCSE in Paesi (Danimarca, Svizzera, Israele) che hanno avuto in passato flussi di immigrati pari all’1 per cento della popolazione (è questo il caso ora della Germania) potrebbero essere paradossalmente gli accademici a ritrovarsi per un certo periodo senza lavoro e contribuire a una crescita più lenta dei salari, mentre i lavoratori specializzati e autonomi (idraulici, elettricisti, meccanici, muratori, carpentieri, eccetera) non solo troverebbero presto un impiego, ma colmerebbero anche lacune sempre più problematiche nel mercato del lavoro tedesco. Ed è proprio in questo settore che i nuovi arrivati avrebbero l’effetto di un pacchetto congiunturale. Infine va considerato il settore della manodopera generica, quello nel quale si temono più tensioni tra “autoctoni” e nuovi arrivati.

Anche qui però i timori potrebbero essere smentiti dalla realtà. Stando a uno studio condotto da Giovanni Peri e Mette Foged in Danimarca, lì i “vecchi” lavoratori avrebbero avuto la possibilità, grazie ai nuovi arrivati, di salire nella qualificazione professionale, mentre gli immigrati, grazie a un lavoro, avrebbero contribuito all’aumento della domanda interna. Il fatto poi che in Germania sia stato introdotto il salario minimo, dice il premio Nobel Joseph Stiglitz al quotidiano Welt impedisce che si crei una spirale verso il basso dei salari. E in effetti a nove mesi dall’introduzione dello stesso si registrano per i datori di lavoro indubbiamente più spese, ma grazie all’aumentato potere di acquisto anche un aumento del gettito dell’Iva e delle entrate fiscali.

L’economia dunque non ne dovrebbe risentire. Horn è convinto che l’arrivo di nuova forza lavoro permetterà di mantenere, anzi di aumentare il tasso di crescita dell’economia tedesca, previsto per il 2016, anche dal DIW (Istituto tedesco di ricerca economica) del 2 per cento, mentre per il 2015 è fissato all’1,8 per cento. Alla crescita dell’anno prossimo i nuovi lavoratori contribuiranno peraltro con uno 0,3 percento. E questo soprattutto grazie ai consumi interni. L’export in questo momento registra infatti qualche battuta d’arresto: il mercato cinese è saturo e la politica del denaro a basso costo negli Stati Uniti pare agli sgoccioli. Due fattori che mettono sotto pressione il commercio tedesco con i suoi due mercati esteri più importanti.

Prossimamente la crescita sarà sostenuta in primo luogo dalla domanda interna, il che è un buon segnale: significa che l’economia tedesca si sta lentamente affrancando dalla dipendenza dell’export.

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