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Turchia, come procedono le indagini sulla strage di Ankara

Selver Gözüaçık, presentatore della Tv di stato turca TRT, finanziata con i soldi della bolletta elettrica, ha letto un tweet arrivato durante la sua trasmissione del mattino: nel messaggio, con cui il conduttore ha detto di essere d’accordo, c’era scritto che non è giusto accomunare tutti i morti, perché «alcuni possono essere innocenti». È un’affermazione esplicita della polarizzazione settaria che fa vibrare l’anima del Paese: quel tweet infatti sottintende che tra gli innocenti, spiegazione di Gözüaçık, ci potevano essere poliziotti, passanti, lavoratori. Cioè, tutti quelli che non partecipavano alla manifestazione a favore dei curdi (o meglio: dell’interruzione della guerra con cui il governo sta martellando il Pkk e al calo della tensione sociale). Questi ultimi, facile deduzione, sarebbero colpevoli di qualcosa: probabilmente, di essere curdi e di aver partecipato alla manifestazione stessa.

Mercoledì la polizia turca ha annunciato di aver identificato il secondo attentatore di Ankara (per cronaca macabra: la conta dei morti è arrivata ufficialmente a quota 99). Si tratta di un uomo di nome Ömer Deniz Dündar, che avrebbe agito insieme a quello che era il sospettato numero uno fin da un attimo dopo la tragedia, Yunus Emre Alagöz, fratello di Şeyh Abdurrahman Alagöz, che a luglio s’è fatto esplodere a Suruc uccidendo 33 giovani curdi (fu identificato attraverso il Dna). I tre sarebbero membri operativi dello Stato islamico, e proverrebbero tutti dalla città di Adiyaman, nel sud est (del ruolo di questa città come luogo di attecchimento dell’IS in Turchia, se n’era già parlato su Formiche.net).

Queste dichiarazioni della polizia turca sono da prendere con cautela, visto che la crisi politica che sta vivendo il Paese è anche un momento di forte propaganda. Vedere proprio il caso del conduttore televisivo di TRT, che, per la cronaca, il giorno dopo s’è scusato e incolpando però la “struttura parallela” fatta dai seguaci dell’intellettuale turco-statunitense Fethullah Gülen, nemico politico del presidente Recep Tayyp Erdogan, di aver manipolato a livello mediatico il suo errore.

Gli uomini incolpati dalle autorità turche, apparterrebbero al gruppo speciale dello Stato islamico che prende il nome di “Tessitori” (“Dokumacilar”): sono circa sessanta uomini, tutti curdi islamisti che ufficialmente si vogliono vendicare  con rappresaglie contro i civili della forza militare dimostrata dagli altri curdi, quelli che sul campo di battaglia contro l’IS sono i più forti. È una vendetta fratricida, che squarcia un popolo, i curdi, storicamente pieno di divisioni.

Mercoledì il ministro degli Interni turco ha fatto sapere che in seguito all’attentato di Ankara ci sarà la sospensione di alcuni funzionari pubblici: tra chi paga ci dovrebbe essere il capo della polizia responsabile dell’area della capitale e il capo dell’intelligence e della sicurezza pubblica per la stessa zona. Dunque, ufficialmente, le autorità hanno il nome degli attentatori e hanno sospeso chi non ha garantito la salvaguardia dei cittadini: sarebbe un procedere perfetto delle indagini, se non fosse che quel nome di Yunus Emre, è di per sé imbarazzante e rappresenta, prendendola in buona fede, un falla nel sistema di sicurezza interno.

Un amico dei due fratelli (e forse anche del secondo attentatore di Ankara) a giugno colpì un comizio dell’Hpd, il partito curdo, a Diyarbikir (quattro morti). Si chiamava Orhan Gonder, era stato arrestato in maggio perché aveva disertato la leva militare al rientro dalla Siria, dove i servizi turchi credono che sia andato ad addestrarsi con lo Stato islamico (e si pensa che sia andato là insieme ai due fratelli Alagoz). Poi è stato rilasciato: e dunque l’intelligence turca s’è fatta sfuggire l’uomo che faceva da link alla pista dei Tessitori, un gruppo di terroristi che avrebbe da lì a poco seminato il panico nel paese. Sono loro infatti ad aver falciato i raduni pubblici dei curdi in tre occasioni negli ultimi tre mesi.

Su questi errori o sviste, si basa parte delle accuse contro Erdogan, reo per gli oppositori di lasciare spazio ai terroristi perché alimentino un clima di tensione nel paese e spaventino gli elettori curdi, scoraggiandoli alle prossime elezioni: così otterrebbe la maggioranza necessaria per completare le modifiche alla costituzione verso un forte presidenzialismo.

Lo Stato islamico non ha mai pubblicamente rivendicato questi attentati: sulla rivista turca dell’IS, Konstaniyye si lodavano gli attacchi e la loro morale (“curdi contro curdi, in nome della fede”), ma niente di più. Probabilmente l’organizzazione di Baghdadi gode vedendo il caos sociale che sta terrorizzando il paese, creato dalla guerra interna tra due suoi nemici giurati, i curdi e Erdogan (condannato a morte perché “sta vendendo la Turchia agli infedeli”, dopo la decisione di Ankara di cooperare con la Coalizione “anti-IS” a guida americana). Sono stati infatti proprio gli attacchi a Diyarbikir e Suruc, e le successive rappresaglie del Pkk (che da luglio hanno fatto segnare quasi centocinquanta morti ed oltre duecento feriti, quasi tutti tra le forze di sicurezza turche), a riaprire indirettamente la stagione di scontri tra curdi e governo centrale.

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