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Perché minoranza Pd e opposizioni sbagliano a criticare la riforma del Senato

Maria Elena Boschi e Luigi Zanda

RIDARE VIGORE ALLE ISTITUZIONI

Le istituzioni di governo disegnate dal Costituente hanno permesso al nostro Paese di passare attraverso la Guerra fredda, ma sono diventate un freno alla capacità dell’Italia di stare nel mondo di oggi. Costantino Mortati, uno dei padri della Costituzione, aveva già evidenziato le incongruenze che attraversano la Parte II della Costituzione. Proprio a cominciare dalla contraddizione fra efficienza delle istituzioni di governo e vincoli garantisti, dovuti soprattutto al timore che «le maggioranze detentrici del potere ne usino per rivolgerlo contro gli avversari». Oggi che i principi costituzionali sono ormai radicati nella coscienza degli italiani, è possibile chiudere le pagine lasciate aperte dal Costituente e restituire, superando finalmente veti e conservatorismi, maggiore vigore alle istituzioni della Repubblica.

REALIZZARE UNA DEMOCRAZIA COMPETITIVA

Sono più di vent’anni, dai due referendum del 1991 e del 1993, che abbiamo messo in discussione il proporzionalismo e le forme assembleari del nostro Parlamento. Ed è da allora che è iniziata la (lunga) transizione da un modello di democrazia consociativa a un modello democrazia competitiva. Con l’iniziativa del governo Renzi, dopo i fallimenti del passato, ha preso corpo il tentativo di chiudere la transizione. La legge elettorale, che introduce un maggioritario ben strutturato (con il ballottaggio, si permette agli elettori di decidere con il voto a chi affidare il compito di governare) e la riforma costituzionale, con la liquidazione del bicameralismo perfetto, rendono possibile il funzionamento di una democrazia competitiva.

SUPERARE IL BICAMERALISMO PERFETTO 

La presenza di due Camere investite degli stessi poteri di indirizzo politico e degli stessi poteri legislativi è la contraddizione più vistosa che non ha eguali in altre democrazie parlamentari. Un relitto di quando – come ricordava Pietro Scoppola – ciascuno degli schieramenti temeva il 18 aprile dell’altro. 

UNA CAMERA DELLE REGIONI

Porre all’interno delle istituzioni costituzionali il luogo di coordinamento tra la legislazione dello Stato e la sua attuazione nei territori è oggi una necessità. La riforma del Titolo V (voluta dal centrosinistra e confermata dal referendum del 7 ottobre 2001) ha portato alla parte della Costituzione che regola i rapporti tra Stato, Regioni ed enti locali modifiche profondissime. E proprio la mancanza del luogo parlamentare di raccordo tra potere centrale e sistemi regionali è il principale punto critico della riforma. In carenza di una stanza di compensazione degli interessi, l’incertezza ha generato numerosissimi conflitti che sono devoluti alla Corte costituzionale. Ovviamente una Camera regionale, cioè un luogo di dialogo tra legislatori (non a caso, nelle principali democrazie quella dell’elettività diretta non è affatto una regola, ma tutto l’opposto), si può fare in molti modi. E vale anche per i poteri. Basterebbe leggere il volume sui lavori della Commissione nominata dal Governo Letta per trovare argomenti a favore delle varie composizioni e delle varie forme di rinvio. Ma l’idea che trasformare il Senato in modo simile al Bundesrat austriaco (come nel testo in esame) distruggerebbe un essenziale contrappeso politico e, con esso, le fondamentali garanzie e la stessa Costituzione, è una sciocchezza.

EQUILIBRARE PESI E CONTRAPPESI

Il principale problema in Italia non è l’assenza dei contrappesi, ma la debolezza del peso decisionale del governo e del Parlamento. Le garanzie democratiche non vanno cercate nella paralisi del governo votato dai cittadini, ma nei contrappesi veri di cui il nostro sistema è ricco come pochi: ruolo dell’opposizione («Non i Lord, ma l’opposizione a Westminster garantisce la libertà inglese», affermava Churchill), Corte costituzionale, magistratura, Regioni, associazionismo, stampa, Unione europea, Presidente della Repubblica. Semmai servirebbero buone leggi sui conflitti di interessi, sulle lobby, sulle autorità indipendenti: tutte cose che non si fanno senza una politica robusta.

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