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La Chiesa, Papa Francesco e la sobrietà

Fa un certo effetto vedere come parla e vive Francesco, proprio da francescano della modernità che rinuncia al lusso papale e s’accontenta dell’essenziale -persino abitando nella discreta Santa Marta -, e i privilegi che invece perdurano in Vaticano. Privilegi piccoli o grandi, ma egualmente odiosi: dall’ormai celebre attico del cardinale Tarcisio Bertone agli sconti un po’ sconci di varia umanità. Sconti su benzina, sigarette, alimentari e chi più ne ha, più ne metta, di cui beneficia non già il popolo dei diseredati e figli di nessuno, a cui il Papa s’è premurato di dare un tetto, la doccia e persino il barbiere, ma la cerchia curiale che non ha certo bisogno di risparmiare per mantenere il suo più che decoroso stile di vita.

Viene facile a dirsi, perché è vero: c’è anche un casta del clero. Esiste un esercito spesso invisibile di autorità religiose di medio e alto livello che da troppo tempo campa non solo di spiritualità. Ma, soprattutto, che non ha minimamente capito che la musica è cambiata per tutti. E’ cambiata per i credenti, i quali sono ancora alle prese con enormi difficoltà economiche, e che dovrebbero suggerire a chi dà l’esempio, di darlo. E perciò a vivere non come il Francesco Santo, ché sarebbe aspirazione anacronistica e insieme demagogica, ma almeno come il Francesco che oggi siede sul trono di Pietro. Non è difficile: è doveroso.

La Chiesa che guarda ai poveri non può navigare nell’oro. Non può scoprire che una parte di sé -come viene fuori da quest’ultimo scandalo di arresti, veleni e libri che documentano-, è più esperta in operazioni finanziare che in imprese dell’anima. Non può anteporre l’aspetto affaristico agli investimenti nella fede, che sono innanzitutto preghiera, carità e misericordia. Nessuno pretende che i sacerdoti girino scalzi per le strade e mendichino il pane dai loro fedeli. Né che l’Istituzione bimillenaria sperperi il tesoro della sua storia, che è tramandata anche grazie a un patrimonio di ricchezze e bellezze universali.

Ma c’è un modo nelle cose. C’è il dovere non solo di aprire le Cattedrali a tutti e a tutti far ammirare le Cappelle Sistine, come già avviene, ma pure di interpretare con dignità e onore il proprio tempo. Esattamente come Francesco, che sa gioire per un piatto di buona minestra preparato da un cuoco qualunque, senza per questo cadere nel pauperismo o nel rancore anti-borghese. La Chiesa non ha ancora il passo svelto e sobrio del suo Papa. Per questo è così difficile cambiarla e nell’oscurità c’è chi preferisce sussurrare “cambiamo lui”.

 Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi, e tratto dal sito www.federicoguiglia.com

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