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Ecco le vere mire di Francia e Russia contro l’Isis. Parla Sapelli

Dopo la strage di Parigi, Francia e Russia collaboreranno contro lo Stato Islamico. Ieri il presidente francese, Francois Hollande, ha parlato al telefono con Vladimir Putin, per dare il via a un coordinamento delle attività militari e d’intelligence in Siria. Come prima azione, il Cremlino ha dato istruzione ai comandi dell’incrociatore portamissili Moskva nel Mediterraneo di operare insieme alla portaerei Charles De Gaulle in arrivo in zona. I due s’incontreranno poi il 26 novembre a Mosca, dove l’inquilino dell’Eliseo sarà ricevuto dal suo omologo russo.

Che effetti avrà questa alleanza nella lotta ai drappi neri? Cosa significa sul piano politico e geostrategico? E come si concilia con le tensioni europee derivanti dalla crisi di Kiev?

Formiche.net l’ha chiesto a Giulio Sapelli, storico ed economista, dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei e autore del pamphlet “Dove va il mondo” (edizione Guerini).

Professore, Francia e Russia portano avanti azioni congiunte contro l’Isis in un momento non facile per le relazioni tra Mosca e l’Occidente. Quali sono le ragioni di questa alleanza?

Ce ne sono diverse. La prima è estremamente banale: entrambi i Paesi hanno bisogno di combattere in modo fermo il jihadismo. La Russia ha un grosso problema col terrorismo di matrice islamica nel Caucaso. La Francia è ancora scossa per la strage di Parigi e deve fare i conti con la rivolta di alcuni suoi figli che mettono a repentaglio l’idea e la tenuta stessa della società francese. Ci sono poi ragioni geostrategiche.

Quali sono?

Continua ad esserci una divisione in Occidente. Assistiamo a una profonda asimmetria, che ricorda quella che negli Anni ’50 si è verificata nel Mediterraneo. Allora, nella regione, si osservava la fine dell’egemonia inglese e l’inizio di quella americana. C’era una divaricazione strategica tra Francia e Regno Unito da un lato e Stati Uniti dall’altro. Entrambi i blocchi ritenevano di avere la strategia migliore per ridimensionare l’influenza russa in Egitto. Come sappiamo, Il Cairo si legò agli Stati Uniti. Fu un periodo di grandi tensioni e divergenze, che si riverberò anche su vicini Paesi sunniti e segnò, per certi versi, l’uscita allo scoperto dello sciismo, fino ad allora piuttosto nell’ombra. Oggi uno scenario simile ritorna nel Mediterraneo e in Medio Oriente, come conseguenza di una divaricazione nell’alleanza angloamericana.

In che cosa consiste questa divaricazione?

Il Regno Unito ha deciso di giocare da solo a livello mondiale, non ascoltando gli americani sulla partecipazione all’Aiib, la Banca Asiatica d’Investimento per le infrastrutture voluta dalla Cina. Una provocazione, se così vogliamo chiamarla, che si è spinta anche oltre, con Londra che è tra le capitali più attive nel chiedere l’accesso del renminbi tra le monete convertibili e di scambio.

Cosa c’entra con la posizione francese in Siria?

In questa situazione non poteva che emergere la Francia, che in merito alla sua politica estera e al ruolo dell’Unione europea non ha mai abbandonato un’impostazione di tipo gollista. Mosca serve a Parigi per controbilanciare il peso tedesco a Bruxelles. Per questo l’alleanza dei transalpini con la Russia putiniana combattente va vista come il riflesso di un riposizionamento di un equilibrio di potenza sia in Europa sia nel resto del mondo. Dietro questi sommovimenti ci sono, su scala globale la lotta tra Washington e Pechino, nel versante continentale il braccio di ferro tra Francia e Germania.

Alcuni osservatori ritengono che collaborare coi russi in Siria fuori dalla coalizione occidentale non sia un atteggiamento coerente da parte della Francia, che solo poche settimane fa ha deciso di non vendere le proprie Mistral alla Federazione a causa della crisi ucraina. Cosa ne pensa?

Parigi vuole comportarsi da grande potenza. Non lo fa solo in Medio Oriente. Ad esempio non cede di un millimetro nell’occupazione militare del Centrafrica. Forse non è coerente, ma è una mossa che guarda oltre. Non mi stupirei se, nella prossima campagna elettorale per le presidenziali francesi, i candidati all’Eliseo fossero i primi, nel continente, a chiedere che le sanzioni occidentali a Mosca venissero ritirate, per le ragioni che spiegavo prima. Questo non vuol dire che le misure economiche verranno effettivamente rimosse, soprattutto senza l’avallo di Washington, ma la Francia, al momento, cerca di ritagliarsi un ruolo. Lo stava già facendo anche prima della strage di Parigi, seppur con meno intensità.

Cosa ne pensano gli Stati Uniti di questa fuga in avanti?

Tra Mosca e Washington i rapporti sono ancora tesi, ma l’obiettivo comune della lotta all’orrore dello Stato Islamico può costituire un elemento di dialogo e anche di reciproca convenienza. La Casa Bianca potrebbe addirittura trovare utile che sia Mosca a togliergli le castagne dal fuoco, giacché Barack Obama ha detto chiaro e tondo che, per il momento, valuta in modo negativo l’idea di mandare truppe di terra in Siria e Iraq.

Invece Francia e Russia manderanno i loro soldati a lottare contro i drappi neri?

Io penso che sarà una conseguenza inevitabile di questo conflitto. Senza truppe di terra è impossibile battere i jihadisti. I bombardamenti servono, ma non sono sufficienti per riprendere roccaforti come Raqqa. Sono convinto che prima o poi questa scelta verrà fatta e che ad agire saranno per l’appunto i francesi, in coordinamento con gli Usa nelle retrovie, e i russi. A loro vanno ovviamente aggiunte tutte le forze che già operano sul terreno: iraniani, curdi e altri gruppi combattenti.

E gli altri Paesi europei? La Francia ha chiesto e ottenuto ieri l’impegno degli Stati membri nel corso del Consiglio di Difesa.

Credo meno in una larga partecipazione europea, come quella invocata da François Hollande. Nessun Paese europeo vuole davvero impegnarsi o l’avrebbe già fatto. Molto più probabile che si concretizzino altre forme di aiuto, più simili a quelle condotte dall’Italia.

A cosa porterebbe l’intervento franco-russo?

Alla base di questa operazione non può che esserci un accordo simile a quello di Dayton, che pose fine alla guerra in Bosnia ed Erzegovina. Dopo aver vinto sul terreno, sarà molto probabile uno smembramento della Siria con la creazione di Stati sotto diversa influenza. Ciò metterebbe d’accordo tutti: americani ed europei che vedrebbero annientato lo Stato Islamico; i russi e gli iraniani, che vogliono avere ancora voce nell’area; e i Paesi del Golfo Persico, che vedrebbero così interrotta la continuità della cosiddetta “mezzaluna sciita” sotto influenza di Teheran.

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