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Ecco perché Usa e Russia si accorderanno in Siria. Parla Camporini

difesa, CAMPORINI VINCENZO

Mentre l’Europa è alle prese con la minaccia del terrorismo e la guerra al Daesh, rivolgo alcune domande al Generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, oggi vice presidente dello IAI, l’Istituto Affari Internazionali.

Ecco alcune sue riflessioni ad ampio raggio su Russia, Siria, Libia, che rappresentano la cornice nella quale inserire come pezzi di un mosaico gli avvenimenti di questi giorni in Francia, in Belgio, nel Mali, dopo gli attentati dei mesi scorsi in Tunisia.

Generale Camporini, durante un convegno sull’Isis tenuto a Milano, lei giudicò negativamente la poca attenzione dedicata negli ultimi anni dai governi italiani alle vicende libiche. Come valuta la posizione attuale dell’Italia?

L’Italia si trova di fronte a una serie di problemi le cui soluzioni sono difficilmente conciliabili: da un lato esistono interessi concreti baricentrati in Tripolitania, da cui origina la parte predominante dei flussi dell’immigrazione e in cui è concentrata la quasi totalità degli interessi energetici nazionali in Libia, dall’altro lato non possiamo singolarizzarci rispetto ad una “comunità internazionale”, quasi unanimemente schierata dalla parte di Tobruk e in particolare abbiamo forti interessi ad un rapporto strategico con l’Egitto di Al Sisi, con cui esiste una concreta e straordinaria prospettiva di ridisegnare il quadro energetico di tutto il Mediterraneo. Mi pare di percepire che le mosse del governo si collochino in un quadro di chiara consapevolezza della situazione in atto.

Cosa pensa di un intervento militare di terra in Libia, e dunque con l’Italia in prima linea, sotto l’egida della Nato e dell’Onu?

Fermo restando che non esiste ancora in Libia un governo di unità nazionale, né se ne vede approssimare la nascita, non vedo nessuna ragionevole ipotesi per un intervento militare, di cui non riesco ad immaginare una finalità politica di stabilità nel Paese: il problema è delle popolazioni che abitano la Libia e sta a loro risolverlo, magari con un nostro discreto aiuto, ma certo non di natura militare.

In Ucraina si continua a combattere: si arriverà ad una soluzione diplomatica con la divisione del Paese sotto sfere d’influenza?

Non credo ad una divisione dell’Ucraina: ritengo che si giungerà ad un quadro istituzionale che premierà il concetto di autonomia locale in un paese che, ci piaccia o no, avrà un ruolo di cuscinetto che potrà esorcizzare le paure russe di un assedio da parte occidentale. Ciò detto pare chiaro, non solo a me, che la Crimea rimarrà parte della Federazione Russa e che sull’argomento si dovrà giungere ad una qualche forma di accordo tra Kiev e Mosca.

Vladimir Putin è saldamente al comando o qualcosa si muove nella capitale russa dopo le sanzioni occidentali?

Non vedo alcun segnale di indebolimento della attuale leadership in Russia, anzi, credo che le politiche degli ultimi anni perseguite da Mosca abbiano in qualche modo alimentato e soddisfatto un desiderio più o meno conscio di rivincita, dopo l’umiliazione della sconfitta nella guerra fredda. Certo ci sono chiari costi economici, ma il popolo russo ha nel passato ampiamente dimostrato di accettare sacrifici anche più pesanti.

La Nato è stata impegnata nella più grande esercitazione militare dalla fine della Guerra Fredda, Trident Juncture 2015. C’è il rischio di un’esacerbazione dei rapporti tra Russia e Stati Uniti in Europa orientale? Le nazioni baltiche e la stessa Polonia dimostrano viva preoccupazione.

L’esercitazione da poco conclusa, pur essendo per la Nato la maggiore degli ultimi anni, ha mobilitato forze pari a poco più di un quinto di quanto recentemente effettuato in Russia, che, al di là delle dichiarazioni di facciata, non credo sia preoccupata. E’ in ogni caso servita a rassicurare i Paesi che lei indica come ‘preoccupati’, circa la volontà e l’atteggiamento dell’Alleanza volto a garantire la sicurezza dei suoi attuali confini.

Alcuni osservatori rilevano che in Siria, dietro la questione dell’Isis, si stia già combattendo un nuovo grande conflitto mondiale. Russia da una parte, appoggiata dai cinesi presenti nell’area, e Paesi occidentali con alla testa gli Stati Uniti. E’ vero?

Se mai penso che si giungerà presto ad un esito opposto, con un’alleanza tra tutti gli oppositori del Daesh, rimandando al dopo la soluzione del problema Assad, sul quale gli interessi sono divergenti.

Qualcuno ritiene che Israele non accetterà alla lunga l’accordo sulla questione iraniana e si muoverà, a modo suo, in contrasto anche con la comunità internazionale. Cioè prevarranno i “falchi”, favorevoli ad una guerra preventiva contro l’Iran.

Credo di poterlo escludere, per lo meno in questo scorcio di storia: Israele sa bene che l’efficacia di un’azione militare unilaterale nei confronti dell’Iran ha poche possibilità di successo, ammesso che ne abbia.

Dopo che anche la Germania vive momenti difficili per il caso Volkswagen, l’emergenza migranti e la crisi politica della cancelliera Angela Merkel, crede ancora in un modello europeo da costruire o ritiene che – come alcuni studiosi vanno scrivendo – gli Stati nazionali europei si stiano sgretolando?

Credo ancora profondamente ad un futuro di progressiva integrazione europea, e non per fede, ma per puro pragmatismo: un’Europa disgregata non ha un futuro politico. Certo i tempi saranno lunghi e sarà necessario esercitare un’azione di vaglio: chi persegue con determinazione politiche di tipo rigorosamente nazionale, come la Gran Bretagna (e non solo), dovrà accettare di restare fuori da un circolo ristretto di paesi in qualche modo federati, da coagulare intorno al nocciolo dei paesi fondatori.

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