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Isis, benvenuti nella matrioska giudiziaria italiana

La giustizia italiana –con la minuscola, vi raccomando, almeno in questo caso – sembra una matrioska. Più apri e più trovi da aprire. Ma non bambole, bensì mostriciattoli.

Evviva il ministro dell’Interno, anche a costo di procurare un’altra delusione all’irriducibile suo nemico Matteo Salvini, che gli dà del “cretino” in piazza, purtroppo anche alla silenziosa presenza di Silvio Berlusconi. Evviva il ministro dell’Interno, nonostante il “cornuto” datogli dai mafiosi di Corleone, decisi ad ucciderlo prima di essere fortunatamente intercettati e arrestati.

Angelino Alfano ha appena espulso quattro marocchini impegnati a Bologna a preparare attentati e ad arruolare, presumibilmente, manovalanza per il fantomatico ma sanguinario Stato Islamico. Li ha fatti imbarcare su un aereo, non su un gommone destinato a sgonfiarsi e ad affondare per mare, come alcuni a torto avrebbero forse preferito, e spediti in Marocco. Dove si spera che la polizia locale li sorvegli a dovere e un magistrato li faccia chiudere in un carcere ben protetto, con tutti i diritti alle preghiere, per carità, nelle ore comandate. Di preghiere, i quattro, hanno bisogno anche per ringraziare Allah della espulsione dall’Italia, dove avrebbero potuto fare la fine di tanti altri missionari suicidi, oltre che omicidi, sparsi nel mondo agli ordini della loro consorteria.

Nell’annunciare il provvedimento da lui adottato, Alfano ha precisato che già nel 2012 la polizia aveva trovato a casa dei quattro marocchini un “manuale di tecnica di guerriglia”. Lo ha precisato anche a costo di procurare un soprassalto di dubbi, questa volta non solo a Salvini, ma anche ai suoi amici. Un ministro dell’Interno che si tiene in Italia per tre anni persone che studiano come diventare perfetti guerriglieri, cioè terroristi, è un po’ strano, se proprio non vogliano dargli anche noi del “cretino”, e persino del “cornuto”, come i mafiosi di Corleone.

Ma, tranquilli, l’interessato e i suoi collaboratori hanno precisato che, a dispetto anche di quel manuale, non si era riusciti a trovare un giudice disposto a disporre l’arresto dei malintenzionati. Ecco la giustizia, con la minucola.

Non s’intende ora chiedere al ministro di fare pubblicamente il nome e il cognome, e tanto meno l’indirizzo d’ufficio o di casa del giudice –perché ve ne sarà sicuramente uno – responsabile di questa omissione a dir poco pericolosa. Ma quel nome andrebbe fatto almeno al Consiglio Superiore della Magistratura, nella speranza che tutto non finisca nella solita archiviazione, o nell’altrettanto solita destinazione ad altro ufficio o sede, dove consentire a quella toga di continuare a sbagliare e a far correre alla collettività, non solo italiana ma europea, e oltre ancora, imperdonabili rischi.

Ludovico Frada

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