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Chi è responsabile del sacco di Verona?

Lascia stupefatti (“basìti”) la facilità con cui 3 rapinatori hanno portato via dal Museo di Castelvecchio (Verona) ben 17 capolavori, 17 quadri “antichi” appesi alle pareti. Pisanello, Rubens, Tintoretto, Mantegna…

Non sappiamo se il colpo sia stato favorito da qualche basista, quello che ci inquieta è la facilità con cui i ladri hanno agito indisturbati per circa un’ora, senza che nessun operatore della centrale di sorveglianza sia intervenuto, dopo aver “notato” il mancato inserimento del sistema di allarme, alle ore 20. “Il sacco di Verona” (così è stata definita la maxirapina) sarà scandagliato con accuratezza dagli Inquirenti, per chiarirne la dinamica reale. Non ci interessa la battaglia politica cittadina, che ne è conseguita. Ci interessa invece cercare di capirese, oltre a quelle dei ladri, ci siano anche responsabilità di altri soggetti. Della Direttrice dei Musei Civici, Paola Marini, in carica da 22 anni; del sindaco Flavio Tosi (che si era riservato la delega al patrimonio artistico di Verona); dell’Assessore al turismo e di chi, in vario grado, aveva ed ha la responsabilità della sicurezza dei musei veronesi.

Un detto veneto, ricorda la fuga dei buoi dalla stalla. In questa storia penosa, la stalla è la fortezza principale della città (Castelvecchio), scelta – negli anni ‘50 -da un grande Direttore dei Civici Musei (Licisco Magagnato) come sede ideale per custodire i capolavori cittadini (nel parallelismo, da considerarsi i “buoi”). Ma, purtroppo, la fortezza era aperta e i buoi sono scappati, facilmente. Dalla stampa locale abbiamo appreso informazioni terrificanti. Impensabili in un Paese normale.

Il sistema di sicurezza era sottodimensionato rispetto al valore dei Capolavori, talché i vari quadri non erano singolarmente protetti.
La guardiania notturna era ed è affidata ad una unica persona. La polizza assicurativa era/è ridicola. Un massimale di 1 milione di euro (sic!) a fronte di quadri con valore teorico complessivo superiore a 100-150 milioni.
La centrale operativa (Sicuritalia di Treviso) che doveva controllare, a distanza, le sale si è distratta per oltre un’ora, consentendo ai ladri di staccare 17 quadri 17, di caricarli sull’auto del custode e di andarsene tranquillamente. INSALUTATI OSPITI. Così dicono le cronache locali (26/11/15).

Ma non finisce qui. Abbiamo letto oggi (cronache locali) che non esisteva un protocollo operativo scritto (e da rispettare) sulla sicurezza, ossia  sulla sequenza da mettere in atto, per la vigilanza diurna e notturna. E così, quelli di Treviso o non si sono accorti che il sensore – rilevatore del sistema anti-intrusione-  alle 20 non era acceso o non se ne sono preoccupati. E così quella spia, rimasta spenta alle 20 perché il guardiano non l’aveva potuta inserire, non ha attivato nessun allarme da parte della Centrale, che si è resa conto del furto solo un’ora dopo, per l’intervento della polizia.

Una notizia devastante, per un cittadino (come me) che ha dovuto subire – in qualità di Primario Ospedaliero – decine di lezioni, da parte di bocconiani e di esperti vari –  sul dovere -obbligo che tutte le procedure mediche (nefrologiche, dialitiche etc.) e infermieristiche fossero documentate da protocolli operativi scritti, specifici e condivisi. Anche ai fini della responsabilità civile e penale dei sanitari, verso i pazienti e verso l’ospedale. Evidentemente, queste regole non valevano, non valgono (?!), per la tutela del patrimonio artistico veronese.

Il tesoro della città andava custodito, non lasciato in balia dei ladri. La magistratura cercherà i ladri e, se li troverà, li punirà. Ma Noi ci permettiamo, precisini come siamo, di scrivere che un fattaccio di queste dimensioni implica anche delle responsabilità – morali e non solo – da parte di chi aveva la responsabilità complessiva del patrimonio artistico di Verona e di chi (come Sindaco o come Assessore) aveva il dovere di verificare l’operato dei tecnici, di altissimo e medio livello.
Vorrà mai la Direttrice dei Musei Cittadini, prima di assumere il suo nuovo incarico a Venezia, “rendere conto a Verona, ai veronesi ed al Paese di come ha concretamente tutelato il ricco patrimonio d’arte della città di Giulietta?”
In questa richiesta, mi associo a quanto scritto da un lettore del giornale “L’Arena”, il giorno 26/11/15. Non solo, ma ci attendiamo anche altre risposte, da altri soggetti istituzionali. E, per aumentare il carico, chiediamo a tutti costoro:

– Anche per tutte le altre mostre che si sono tenute in questi anni a Verona (ad esempio quelle di Goldin), c’era un analogo Bbuco nel sistema di sicurezza?
– Quanto tempo ci vorrà perché i capolavori rimasti a Castelvecchio vengano protetti da sistemi individuali di allarme?
– Il Comune di Verona si rivarrà contro qualcuno, per tutelarsi contro le conseguenze delle macroscopiche carenze metodo/prassi di sorveglianza?
– Il Comune di Verona disdetterà il contratto con la Sicuritalia di Treviso e controllerà con pignoleria il nuovo contratto con una diversa azienda “di sicurezza?”
– A chi competeva fissare i massimali assicurativi delle opere esposte?
– E’ stata formulata denuncia alla Corte dei Conti di Venezia, per danno patrimoniale e di immagine?

Insomma, questo “colpo del secolo” non può finire tra le mura cittadine, ma deve essere di monito e di insegnamento per il nostro Paese. E per la marea dei nuovi Direttori dei Musei civici, nominati di recente da Renzi e Franceschini. A tutti costoro va fatto un corso di management in sicurezza!

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