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Come si alimenta la jihad di Isis

Premetto che secondo me certi titoli a effetto in momenti così drammatici andrebbero molto meglio calibrati: oggi infatti si tratta di isolare il nemico principale, cioè al momento i jihadisti sunniti che animano lo Stato islamico e al Qaida, e che stanno sviluppando le loro reti in Medio Oriente, in Asia, in Africa e in Europa. Questo obiettivo deve essere sempre ben tenuto presente da chi si mobilita per quella che dal settembre del 2001 è una guerra dichiarata all’Occidente.

La guerra che si prolunga dal 2001 (Dick Cheney spiegò con precisione e intelligenza che sarebbe stato un conflitto che avrebbe potuto durare decenni) ha obiettivamente fondamenti anche religiosi (oltre quelli geopolitici provocati dalla mancanza di un equilibrio post Guerra fredda in Medio oriente). C’è qualche stupidotto che cataloga l’islamismo come una religione che mette al centro la sacralità della vita. In verità nella predicazione musulmana sono presenti con nettezza i concetti di Dar al-Islam, la “terra della pace” dove lo Stato è ordinato da leggi musulmane, e Dar al-Charb, la “terra della guerra” quella dominata dagli infedeli che non può non essere considerata virtualmente da conquistare.

Come aveva cercato di spiegare, in mezzo a un coro di imbecilli che lo contestò, a Ratisbona Joseph Ratzinger il fatto che una religione consideri strutturalmente la guerra come strumento della propria espansione (insomma che ritenga che uccidere in nome di Dio non sia una bestemmia), pone grandi problemi alla convivenza globale e in particolare a quella tra diverse fedi. Problemi che per lunghi periodi possono essere pragmaticamente rimossi (così quando prevaleva il colonialismo occidentale, specie quello efficacissimo britannico, o quando lo scontro tra democrazie occidentali e movimento comunista, allineava tutto il mondo) ma che permangono nelle pieghe della storia e si riaffermano quando le condizioni internazionali non li contengono più: come lucidamente aveva previsto Samuel Huntington nel 1993 con il suo (anche esso contestato dai più o meno soliti imbecilli) The clash of civilizations (saggio che non invita al conflitto tra le civiltà – come sostengono i soliti imbecilli – ma che prevede che questo possa scoppiare quando non c’è più un qualche equilibrio nei rapporti internazionali cje lo impedisca).

Che il problema “religioso” sia uno dei problemi principali oggi in campo l’ha spiegato con perfetta lucidità al Abd al-Fattāḥ al Sisi (si sente nelle sue parole l’eredità di un grande statista laico-musulmano come Mustafa Kemal Atatürk). Così il presidente dell’Egitto: se una parte dei religiosi musulmani predica che un miliardo di islamici debba conquistare un mondo di una decina di miliardi di persone, predica una follia ma se questa follia ha delle basi religiose può ugualmente fare danni incalcolabili e quindi si tratta di rivedere anche elementi teologici strutturali. Anche perché oggi il nemico principale è la jihad sunnita ma i primi a teorizzare la necessità di una nuova “guerra santa” contro l’Occidente sono stati gli ayatollah iraniani, che oggi sarebbero diventati buoni: a parte quella loro fissa un po’ hitleriana di voler eliminare dalla faccia della terra Israele.

Avendo ben presenti i problemi tattici, isolare i veri nemici del momento, e quelli strategici (aiutare l’Islam a diventare integralmente una religione disponibile alla convivenza pacifica tra fedi), invocando un atteggiamento generale a destra e a sinistra che aiuti questi obiettivi urgentemente tattici e angosciosamente strategici, bisogna anche spiegare ai musulmani moderati che la guerra in atto non concede posizioni intermedie. Se la grande massa di persone islamiche laboriose, moderate, generose non aiuterà a isolare i fanatici (non privi di “pezze” teologiche a loro giustificazione) e a superare – poi e dunque – le radici religiose del fanatismo, è bene che i “moderati”, i “laboriosi”, i “generosi” si studino come sono stati trattati (da bastardi?) dopo il 1945 i tedeschi che pur non aderendo al nazismo non avevano “visto il fumo che usciva dai camini dei campi di concentramento”, non avevano “visto sparire il loro vicino di casa ebreo” e non avevano visto analogamente le altre mille infamie del nazismo. Così il popolo di Beethoven, Goethe, Hegel, che tanto aveva dato all’Europa, è stato marchiato a fuoco come incivile per decenni, recuperando solo recentemente una maggiore pace morale anche interna ma portandosi dietro sempre un senso di colpa obiettivamente difficilmente rimovibile in tempi seppur medi.

Insomma, è senza dubbio sbagliato dare dei bastardi indifferentemente a intere comunità etnico-religiose, è infinitamente più sbagliato però chiudere anche solo mezzo occhio sui bastardi (non privi peraltro di qualche fondamento teologico nella propria fede) che operano nella tua comunità etnico-religiosa.

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