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Vi spiego perché Londra vuole cambiare l’Europa. Parla Hammond

“La Gran Bretagna riuscirà a proporre efficacemente una riforma dell’Unione europea solo se sarà capace di convincere gli altri Stati membri che una revisione strutturale è interesse comune. E per questo obiettivo, l’Italia è un partner cruciale. “Better Europe, not more Europe”: lo disse anche Matteo Renzi quando venne a Londra”. Queste le parole di Philip Hammond, segretario di Stato per gli Affari esteri e del Commonwealth, intervenuto questa mattina a Roma in occasione di un convegno organizzato dall’Istituto affari internazionali. Un’occasione per riflettere sulle relazioni tra Londra e Roma alla luce della lettera che, due settimane fa, David Cameron ha inviato a Bruxelles, chiedendo di rivedere l’appartenenza del suo Paese all’Ue, in attesa del referendum popolare che deciderà sulla “Brexit”.

Hammond ha individuato quattro ambiti dove Regno Unito e Italia possono coordinare gli sforzi per una riforma dell’Unione.

Innanzitutto, si può lavorare insieme sulle proposte, già presentate dalla Commissione Juncker, per migliorare la competitività economica: ridurre le tariffe del roaming telefonico, costruire il mercato unico digitale, unire i mercati dei capitali, semplificare e razionalizzare la normativa sul commercio, così da rilanciare concorrenza e produzione.

In secondo luogo, obiettivo di entrambi è rinsaldare la governance dell’unione monetaria. “Pur non facendone parte, il nostro Paese ha un interesse nella crescita dell’Eurozona, che è la destinazione principale delle nostre esportazioni”, dichiara Hammond. “A nostro avviso, gli Stati che hanno adottato l’euro devono integrarsi maggiormente, soprattutto a livello politico. Nulla di nuovo: l’ineludibilità di un’unione politica successiva a quella monetaria è la principale ragione per cui, in passato, la Gran Bretagna ha preferito non partecipare al progetto dell’euro”.

In terzo luogo, Roma e Londra possono lavorare per ridurre la distanza tra cittadini e istituzioni europee, rinforzando i principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Infine, il tema più scottante: l’immigrazione massiccia che da alcuni Stati membri, in particolare Italia e Paesi dell’est, si dirige verso Gran Bretagna: “Non proporremo quote o soglie massime per l’afflusso di cittadini europei: abbiamo sempre sostenuto la mobilità interna dei lavoratori”, chiarisce subito Hammond. “Tuttavia la popolazione britannica è in crescita, anche senza considerare l’ondata migratoria. Il nostro generoso sistema di welfare state, in particolare il regime di detrazioni fiscali intese a proteggere dalla disoccupazione i lavoratori meno qualificati, risente di questa dinamica. È importante convincere i cittadini britannici della sostenibilità del sistema di welfare di cui essi godono”.

Secondo il ministro, risolvere i dubbi dei sudditi di Sua Maestà è interesse dell’Unione intera: “Dopotutto, mantenere costanti il tenore di vita e il livello di protezione sociale è una preoccupazione comune. Il referendum decreterà senza dubbio la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione se – e solo se – l’Unione stessa sarà riformata secondo le linee indicate da Cameron”.

Altri relatori presenti al convegno hanno approfondito le considerazioni del politico britannico.

Per Marta Dassù, direttore di Aspenia, il problema non è solo contenutistico, ma anche interpretativo: “La Gran Bretagna vede l’Ue come un’organizzazione internazionale ordinaria, mentre l’Italia la percepisce come il destinatario di un trasferimento di sovranità”. Eppure, secondo l’ex Sottosegretario agli Esteri, se il Regno Unito lasciasse l’Ue ci sarebbero serie conseguenze anche per l’Italia: verrebbe infatti a mancare quel partner di rilievo con cui è possibile dialogare quando l’asse franco-tedesco è troppo saldo.

“L’Italia ha tutto l’interesse al permanere della Gran Bretagna nell’Ue – ribadisce Ettore Greco, ricercatore dello Iai – anche in virtù dell’intensità delle relazioni economiche bilaterali: siamo il terzo investitore europeo nel Regno Unito”. A suo parere, Roma dovrebbe supportare la richiesta di Londra di un maggior riconoscimento giuridico dell’integrazione differenziata, nonché di un ruolo più incisivo dei Parlamenti nazionali, che si traduca per questi ultimi nella possibilità concreta di bloccare un atto legislativo delle istituzioni di Bruxelles. “In merito alla questione migratoria, le preoccupazioni britanniche sono certamente comprensibili, ma è necessario che l’Italia difenda le quattro libertà fondamentali dell’Unione: libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali” conclude Greco.

“Certamente, Londra ha tutto il diritto di tornare al suo ‘splendido isolamento’ – puntualizza Chris Cummings, TheCityUk – ma questo non risolverebbe tutti i suoi problemi: il prerequisito per prosperare in solitudine è aprirsi all’immigrazione”.

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