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Podgorica come Gezi Park e Bucarest: il caos

C’è un non più sottile filo che lega (presunte) democrazie, piazze in subbuglio e nuove strategie europee guardando a cosa sta accadendo alla dorsale balcanica e alla cosiddetta eurasia. Le piazze montenegrine e rumene, dopo il sangue versato in Turchia a Gezi Park, prendono coraggio e chiedono a gran voce un passo indietro da parte dei loro governanti. Ma al momento ricevono solo violenza e repressione.

In Romania 20mila cittadini in piazza per chiedere la testa del premier Ponta che si dimette, dopo sangue e morti per un incendio. A Podgorica i montenegrini non credono più nel premier Milo Djukanovic, al timone da un quarto di secolo e attenzionato in passato dalle procure di Napoli e Bari per contrabbando internazionale di sigarette: mai condannato perché coperto dall’immunità diplomatica.

Il paese, definito dall’US Foreign Affairs  uno “stato mafioso”, vive la sconvolgente situazione di scontri tra cittadini e forze dell’ordine, accaduti nel silenzio europeo per tutto il mese di ottobre a cui la polizia ha reagito con gas lacrimogeni lanciati contro migliaia di montenegrini.

Lo scorso 18 ottobre gli scontri sono avvenuti dinanzi al Parlamento di Podgorica, quando i manifestanti hanno cercato di sfondare un recinto di fronte alle forze di polizia, che si erano barricate. E mentre si assisteva al lancio di pietre e razzi, alcuni cittadini sono stati anche colpiti alla testa, mentre la piazza gridava “Milo ladro Milo! Ora è finita!”.

Djukanovic tre anni fa è stato rieletto premier per la terza volta ma negli ultimi due lustri le accuse di stampa e opinione pubblica su corruzione e malaffare sono aumentate esponenzialmente. Nel 2011 l’americana Securities and Exchange Commission ha accusato di tangenti Magyar Telekom Plc, il più grande provider di telecomunicazioni in Ungheria e tre dei suoi ex dirigenti: avrebbero pagato mazzette a politici del Montenegro e della Fyrom per impedire la concorrenza nel settore delle telecomunicazioni.

In seguito Magyar Telekom ha accettato di pagare una sanzione penale da 59 milioni di dollari come parte di un accordo raggiunto con il Dipartimento di Giustizia americano. E anche Deutsche Telekom come parte di un accordo di non-azione penale con il Dipartimento di Giustizia pagò una penale di 4,5 milioni di dollari.

A questo punto sembra che Djukanovic sia fermamente convinto e che la sua retorica anti-russa, infarcita da ambizioni pro Ue e pro Nato gli possa garantire un vaucher eterno che in qualche modo gli consenta di evitare i guai giudiziari. Non solo gli ungheresi, ma possibili guai giungono a Djukanovic anche da tre casi praticamente simili: la cipriota Ceac, l’olandese Msnn e l’italiana A2a che in Montenegro hanno perso milioni di euro.

Ma davvero l’Ue sarebbe così sprovveduta da cadere in un tranello del genere? Magari andrebbe ricordato il caso dell’ex primo ministro croato Ivo Sanader, che ha guidato il paese in Europa e nella Nato per poi essere condannato per corruzione a dieci anni di carcere, anche se pochi giorni fa quella pronuncia è stata annullata nello sdegno generale. Lo scorso luglio inoltre la Corte costituzionale croata, aveva annullato la sentenza di secondo grado ad otto anni e mezzo di reclusione per l’ex premier: era stato condannato per aver ricevuto una tangente di 10 milioni di euro dalla compagnia petrolifera ungherese MOL. Il suo scopo secondo l’accusa era far sì che la compagnia, nonostante possedesse meno del 50%  delle azioni dell’Industria petrolifera croata (INA), avesse voce in capitolo per quanto concerne la gestione.

Ma l’ex premier croato non è solo: procedimenti giudiziari sono in corso anche per il sindaco di Zagabria Milan Bandić, e soprattutto per il numero uno del calcio croato, il ceo della NK Dinamo, Zdravko Mamić. Entrambi sono a piede libero in attesa di processo: lo ha deciso il tribunale dopo il pagamento di una grossa cauzione.

 

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