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Vi racconto cosa faremo con Volta. Parla il consigliere renziano Giuliano da Empoli

La Leopolda e il partito della Nazione ma anche la politica estera del Governo e la risposta italiana al terrore. Sono questi i principali temi affrontati da Formiche.net in una conversazione con Giuliano da Empoli, scrittore, editorialista del Messaggero, già assessore a Firenze con Matteo Renzi e oggi uno dei più stretti consiglieri del premier.

Dalla fase della rottamazione a quella del governo, com’è cambiata la Leopolda?

Ho la sensazione che sia più cambiata l’Italia fuori di quanto non sia cambiata la Leopolda stessa. Qui ho visto più o meno lo stesso caos creativo e la stessa energia che c’erano già nel 2010. La differenza è che ai quei tempi c’erano Berlusconi al governo e un Paese governato da quella che io chiamo la gerontocrazia immatura: anziani che per vent’anni non si sono assunti le loro responsabilità rimpallandosele a vicenda. Oggi la situazione fuori è completamente diversa e ciò ha fatto anche sì che qualche leopoldino sia tornato qui da ministro. Al di là di questo e di qualche inevitabile misura di sicurezza in più, non mi pare che sia cambiato lo spirito iniziale.

Dal palco ha annunciato la nascita di un nuovo think tank che si chiama Volta. Di che cosa si tratta?

L’elemento fondamentale è rappresentato dalla freschezza dei contenuti, dal tipo di sinapsi che siamo in grado di generare. Saremo basati a Milano e a Bruxelles, nella più dinamica città italiana e in quella europea dove vengono prese le decisioni più importanti. Il nome Volta racconta già un po’ di cosa si tratta. C’è il ricordo di uno dei più importanti scienziati del mondo, Alessandro Volta, ma non solo. Cercheremo di essere un generatore di energia.

Di che tipo e per arrivare dove?

Lavoreremo soprattutto sul tema del modello italiano. Per vent’anni siamo andati a caccia di modelli da copiare, anche con un po’ invidia e scarsa fantasia. Esiste, invece, un modello italiano di innovazione – oggi secondo me anche di innovazione politica – che penso possa dare risposte pure a livello europeo. Ad esempio l’ascesa dei populismi come nel caso Le Pen in Francia è un tema che conosciamo bene in Italia. Il populismo lo abbiamo sperimentato sotto tutte le forme possibili ma abbiamo anche sviluppato alcuni antidoti. Uno di questi sono convinto stia anche qui alla Leopolda. Però il nostro Paese è fuori dai circuiti europei e internazionali di discussione su queste tematiche. Non esiste nessun think tank di nuova generazione che sia presente sulla scena del dibattito internazionale e ci è sembrato che questo fosse un vuoto da colmare.

La definizione di ideologo di Renzi che molti utilizzano nei suoi confronti è giusta?

Non credo sia così. E’ evidente che se non avessi idee in comune con Renzi e con molte altre persone che sono qui, me ne sarei rimasto a casa ma dire chi influenza chi è difficile. Personalmente mi sento influenzato da questo percorso e, a mia volta, spero di dare un contributo.

La prospettiva del Pd si chiama Partito della Nazione?

Le formule non mi piacciono e quella di Partito della Nazione personalmente non mi ha mai entusiasmato. Questo dal punto di vista terminologico. Politicamente invece – se con quell’espressione si intende un partito a vocazione maggioritaria in grado di uscire in modo radicale dagli steccati delle appartenenze tradizionali che hanno ingessato la sinistra per molti anni – sono d’accordo. E’ qualcosa che sta già accadendo nella realtà.

Parlando di politica estera, la Francia ha risposto agli attentati di Parigi con i bombardamenti mentre Renzi ha detto no alla guerra. Come giudica questo diverso approccio?

La reazione di Hollande è comprensibile. Lo shock in Francia è stato ovviamente molto più forte di quanto non lo sia stato in Italia. Detto questo, penso che la nostra reazione vada nella giusta direzione di creare un diverso modello italiano. Non si può ricondurre a vecchie categorie fenomeni completamente nuovi come questo terrorismo. In un certo senso la guerra è quasi rassicurante perché consente di dire: abbiamo un nemico, sappiamo dov’è e chi è e lo sconfiggeremo. Però oggi non è così perché il nemico è epidemico. Certo esiste un territorio ed io penso sia giusto colpirlo. Ma non si può dimenticare che la maggioranza degli attentatori di Parigi fosse di nazionalità francese. Le risposte devono essere necessariamente più articolate e diverse rispetto al passato.

In politica estera il ruolo dell’Italia può essere quello di cerniera tra Usa e Russia?

Mi sembra eccessivo, i nostri rapporti con gli Stati Uniti sono evidentemente molto più forti, consolidati e strategici di quanto non lo siano quelli con la Russia. Direi che si tratta di due grandezze non equiparabili.

Il no italiano alla proroga delle sanzioni Ue nei confronti della Russia per la vicenda Ucraina mira ad avere l’appoggio di Putin al piano sulla Libia?

Il nostro è un approccio pragmatico e non ideologico messo in campo con l’obiettivo di arrivare a una conciliazione. Mi pare un fatto positivo, in linea con la tradizione diplomatica del nostro Paese. Immaginare di poter affrontare queste partite senza il contributo russo è molto difficile.

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