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Tutta la vuota retorica dei leader globali

Vi sono una serie di apparenti convincimenti comuni che accomunano i nuovi leader che nel mondo globale sembrano avere la missione di cambiare e governare il mondo. Ascoltandoli, si direbbe che non credano in nulla, eppure dichiarano di credere all’Europa; di credere all’urgenza di intervenire sul clima per combattere il riscaldamento globale; di credere che l’immigrazione sia una grande opportunità per l’Europa; di credere che le unioni civili siano sintomo di maturità morale; di credere che l’attuale pontificato rappresenti il cambiamento necessario della Chiesa, ecc.

Siamo di fronte a una misteriosa ed inquietante omogeneità di opinioni imposte per poter diventare leader, oppure dette opinioni sono talmente vere e giuste che i grandi leader le ha fatte proprie? Un leader deve dimostrare di credere fortemente a queste affermazioni, o il crederci fa di lui un leader perché dimostra idoneità e maturità per governare? Ammetto che fatico a riconoscere in questa uniformità di pensiero qualcosa di non sospetto. Un leader, per esser tale, come spiegò Benedetto XVI nel famoso discorso di Aquileia nel 2011, deve dimostrare di credere a ciò che realmente serve al bene comune, alla dignità dell’uomo, al vero progresso integrale. E deve dimostrare che questi tre fattori sono quelli che realmente si dà  come obiettivo dei suoi atti di governo. Pertanto, quando parla di Europa, clima, immigrazione, unioni civili, morale, ecc. deve dimostrare di aver capito cosa è bene comune, cosa è la persona, cosa è progresso reale.

Se non lo dimostra, questa uniformità di pensiero comune coincidente, sembrerebbe interpretabile in due modi diversi e contrapposti. Un primo modo spiegherebbe che finalmente è stata cooptata al governo di ogni paese una classe dirigente giovane, aperta ed illuminata, non più conservatrice, e pertanto non vi saranno più divergenze tra politiche globali e locali e si potrà quindi risolvere e governare i problemi del mondo in modo uniforme, senza continue opposizioni. Il secondo modo affermerebbe che grazie alla crisi globale inattesa, per gestirla, è stato indispensabile forzare, imporre, criteri comuni di governo globale. Nella spiegazione i due criteri divergono sul fatto che i nuovi leader siano emersi o imposti, ma non nella sostanza. Imposte o condivise queste convinzioni, poco conta.

Ma dette convinzioni che radice comune hanno? Chiedo ai lettori di riflettere ponendosi alcune domande: conoscete intellettuali affermati, osannati e invitati ovunque che non siano relativisti? Conoscete scienziati valorizzati e premiati che non affermino l’autonomia morale della scienza e della tecnica? Conoscete “maestri”, riferimento della cultura dominante, che non siano neomalthusiani, ambientalisti, a favore della totale libertà sessuale e antropologicamente convinti che l’uomo sia l’evoluzione di un bacillo? Conoscete economisti corteggiati per pubblicare libri che non affermino che è la miseria materiale a produrre quella morale? Conoscete moralisti esaltati dalle maggiori case editrici che osino affermare che la Verità viene prima della libertà? Bene, potrei andare avanti ancora, ma mi fermo, suggerisco solo di riflettere che queste radici comuni che sono gnostiche (e vogliono ricreare l’essere e l’uomo), sappiamo dove ci porteranno. Penso anche che avremmo bisogno di leader con idee e coraggio, non di leader con idee imposte e con il coraggio che viene della certezza di compiacere poteri superiori. Se questo è il pensiero comune e omogeneo di progresso per l’uomo nel XXI secolo, staremo freschi anzi gelidi, altro che riscaldamento globale. Potrebbe opporsi una autorità morale, ma ormai, questi leader, la ascolterebbero se affermasse cose differenti da quello che si aspettano dica?

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