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Tutti i benefici (e i rischi) del trattato tra Bruxelles e Kiev

Il primo gennaio entrerà in vigore il Deep and Comprehensive Free Trade Agreement (Dcfta), il trattato di libero scambio tra Ucraina e Unione europea. Alla fine Bruxelles l’ha spuntata e Kiev non ha ceduto alle pressioni di Mosca. Anche il Dcfta faceva, infatti, parte del pacchetto di accordi in discussione durante quel vertice europeo di Vilnius del 2013, che diede inizio al confronto, tutt’ora in corso tra Kiev e Mosca. Durante quel summit l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich decise all’ultimo momento di non sottoscrivere il Trattato di associazione con l’Ue. Come già nove anni prima, la gente di Kiev scese in piazza Maidan, una protesta che questa volta sfociò però in aperta rivolta. Seguirono l’annessione della Crimea da parte russa, la nascita di movimenti separatisti nell’Est del Paese e il confronto armato tra indipendentisti filorussi e nazionalisti ucraini.

Se da una parte l’Ue ha emesso sanzioni economiche contro la Russia per il coinvolgimento del Cremlino anche nella guerra civile ucraina, dall’altra parte ha fatto da mediatrice per far accettare anche ai russi l’adesione di Kiev al Dcfta. Lunghe ed estenuanti trattative hanno caratterizzato i passati otto mesi in cui, con la regia del commissario Ue per il Commercio Cecilia Malström, il ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin e il ministro russo per lo Sviluppo economico Alexej Uljukajev si sono incontrati 22 volte. Inutilmente però. Secondo quanto dichiarato dalla Malström al quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, si è fatto l’impossibile per venire incontro ai russi, proponendo per i punti più delicati del trattato di libero scambio periodi di transizione.

Il Cremlino si è però mostrato irremovibile. E ha tirato fuori nei confronti del vicino altre misure di ritorsione. Se l’Ucraina aderirà al Dcfta, faceva sapere Mosca, verrà automaticamente espulsa dall’area di libero scambio euroasiatica Cisfta. Oltre a subire ovviamente gli stessi embarghi commerciali che Mosca ha emesso nei confronti dei Paesi dell’Ue.
Tutto questo non ha però fatto cambiare opinione a Kiev, il cui governo è irremovibile nell’intento di portare il Paese sempre più nell’area di influenza occidentale. Il primo ministro Arseni Jazenjuk è convinto che l’entrata in vigore del Dcfta farà da volano allo sviluppo economico della nazione e accelererà la modernizzazione dell’apparato produttivo. Due cambiamenti di cui l’Ucraina ha bisogno. Se già la sua economia non navigava in buone acque prima della guerra civile, successivamente la situazione è diventata ancora più precaria, dicono i dati. Nel 2014 il Pil è crollato del 7 per cento e nel 2015 del 10 per cento. Anche il valore della moneta nazionale, la grivnia, è precipitato ed è stato soprattutto grazie a un prestito di 40 miliardi di euro concesso in massima parte dal Fondo monetario internazionale, che la valuta si è di nuovo ripresa e stabilizzata.

Mosca ha visto sempre con grande irritazione il tentativo di emancipazione da parte ucraina. Un esempio paradigmatico è stato in tal senso la cosiddetta “Rivoluzione arancione” del novembre del 2004. La protesta era scoppiata in seguito a brogli elettorali avvenuti durante le elezioni presidenziali, che avevano decretato la vittoria del filo russo Yanukovich. La gente si era riversata in massa in piazza Maidan e vi era rimasta fino all’annuncio che le elezioni sarebbero state ripetute. Questa volta a vincere contro il delfino di Mosca fu il filo occidentale Viktor Yuschenko. Mosca però non si diede per vinta e per diversi inverni di seguito tagliò le forniture di gas che attraversavano i gasdotti ucraini in direzione dell’Europa occidentale.

Nonostante i rapporti sempre tesi, la Russia è però rimasta fino a pochi anni fa il partner commerciale più importante per gli ucraini. Ed è solo con la rivolta di piazza Maidan del 2013 che la situazione è definitivamente precipitata e oggi gli scambi commerciali tra i due Paesi si sono pressoché dimezzati.
Il nuovo trattato di libero scambio con l’Ue, spiegano molti economisti, potrà dare un importante impulso alla modernizzazione dello Stato. Ma uno studio condotto dalla fondazione tedesca Friedrich Ebert Stiftung fa però notare che, per assorbire gli inevitabili cambiamenti che il Dcfta porterà con sé (tra cui l’espulsione dal mercato di prodotti ucraini di basso valore) ci vorranno ulteriori 60 – 100 miliardi di euro di aiuti.

Il Paese si muove da tempo sull’orlo del baratro. Un rischio acuito dal fatto che anche le condizioni economiche precarie forniscono ai russi un ulteriore strumento di pressione. Diversamente dagli altri creditori che lo scorso agosto hanno accettato una ristrutturazione del debito ucraino, Mosca non ha mai preso in considerazione una simile soluzione. Kiev deve alla Russia 3 miliardi di euro per forniture di gas mai pagate. E visto che fino ad oggi i tentativi di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti sono falliti, il confronto tra i due contraenti avverrà ora per via giudiziaria. Non pagare significa per Kiev però correre un serio pericolo. Nella migliore delle ipotesi, avvertono gli esperti, l’economia del Paese rischia un declassamento da parte delle agenzie di rating e nella peggiore la bancarotta di Stato.

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