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Bcc, ecco a cosa serve la riforma. Parla il prof. Becchetti

La riforma delle Bcc in cantiere nel governo s’ha da fare. Ma purché si rispettino dei paletti. Ad esempio, la maggioranza della futura holding deve appartenere alle banche cooperative.

E’ quanto sostiene, in una conversazione con Formiche.net Leonardo Becchetti (nella foto, a sinistra), docente ed economista all’Università di Tor Vergata, conoscitore della realtà cooperativa ed editorialista del quotidiano Avvenire.

PERCHE’ QUESTA RIFORMA SERVE (DAVVERO)

Dice Becchetti: “Il credito cooperativo oggi è solido e in grado di auto sostenersi, come dimostrano i coefficienti di solidità aggregati delle Bcc”. Riformare un sistema già solido di suo potrebbe quindi sembrare un controsenso. Eppure, aggiunge l’economista, “una riforma è necessaria, perché garantirebbe al sistema quelle sinergie che sono già state messe in atto in altri Paesi, come Austria, Germania, Finlandia, Francia e Olanda. In questo senso guardo con favore alla riforma che il governo ha messo in cantiere, perché garantisce quel meccanismo di protezione di cui oggi le banche hanno comunque bisogno”. In pratica, è il messaggio dell’economista, anche se il credito cooperativo sta in piedi sulle sue gambe, una riforma lo renderebbe ancora più forte e resistente all’urto delle crisi bancarie. E’ poi è la natura stessa delle Bcc a imporre la messa in sicurezza dell’intero sistema: “Non bisogna dimenticare che le Bcc sono molto legate al territorio e se quel territorio va in crisi allora rischia di andarci pure la banca. Per questo la riforma garantirebbe quella rete di protezione necessaria a rendere ancora più sicuro il sistema”, attraverso l’intervento tempestivo della capogruppo in caso di crisi bancaria.

UN MODELLO DA PROTEGGERE

Riforma sì, dunque, ma con alcuni paletti: “Un punto fermo è che non venga snaturata la natura mutualistica delle Bcc. Questo modello deve rimanere intatto”, premette Becchetti. E’ il concetto della “biodiversità bancaria”, di cui Becchetti ha diffusamente parlato negli ultimi mesi. In pratica, i contributi all’economia non devono arrivare solo da 4 o 5 realtà uniformi, ma da una moltitudine di ecosistemi, tra cui per l’appunto, il modello cooperativo. “Penso che oggi le Bcc siano una realtà importante, essenziale all’economia italiana. Esse contribuiscono alla biodiversità bancaria, fondamentale per la resistenza del sistema: per questo è importante, anche nell’ottica della riforma, non distruggere i modelli”.  Altra questione, la partecipazione degli istituti alla capogruppo che dovrà supervisionare l’intero credito cooperativo: “Le banche cooperative dovranno essere azioniste della capogruppo ed avere la maggioranza, perché in questo modo si esercita un controllo sulla stessa capogruppo”.

RIFORMA ALLA FRANCESE?

E che dire della riforma in salsa francese immaginata dal premier Matteo Renzi, che è troppo apprezzata da Federcasse? Quel Crédit Agricole che piace al premier e poco alle Bcc, visto che in Francia, secondo l’associazione delle banche cooperative presieduta da Alessandro Azzi, le banche locali hanno completamente perso la loro autonomia. Ma Becchetti allontana gli spauracchi dell’accentramento e guarda con ottimismo al risultato finale che verrà, che dovrebbe mettere precisi limiti all’azione della capogruppo. “Non sono preoccupato di una perdita di autonomia degli istituti, perché nella riforma l’autonomia della singola banca è salvaguardata e commisurata alla solidità e al buono stato della banca: se la banca ha bassa qualità allora perde autonomia, se sta bene invece no”. In pratica, se la Bcc funziona allora andrà avanti da sola, senza la necessità di un supporto della capogruppo, con conseguente limitazione della propria autonomia e della propria politica.

LA GERMANIA? IN UE DUE PESI E DUE MISURE

Il discorso però si può allargare ad altri orizzonti. Per esempio a quello tedesco, tornato nel mirino di Renzi anche due giorni fa, nel corso della conferenza stampa di fine anno. In Ue c’è un evidente problema di valutazione. “In Europa – commenta Becchetti – ci sono due pesi e due misure, in parte determinati dalla cronologia degli eventi: gli interventi pubblici massicci post 2007 non servivano all’Italia in quel momento mentre ora quando un piccolo aiuto pubblico avrebbe evitato le perdite ai risparmiatori, sono invece cambiate le regole”, spiega l’economista. “Le critiche alla Germania però – conclude l’economista – aprono importanti spazi di trattativa e il governo fa bene a battere i pugni, perché questo può preparare un confronto più ampio in sede europea”.

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