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Perché la Legge di stabilità è diventata un po’ instabile

Cosa dicono i dati Istat sull’andamento dei conti economici nazionali trimestrali nel 2015? E cosa fanno anticipare per il futuro?

In breve, affermano a tutto tondo che l’onda breve si è arenata. A una leggerissima e fragile ripresa apparsa nel primo trimestre, ne è seguita una ancora più lieve nel secondo ed una quasi impercettibile nel terzo. I dati del primo trimestre avevano consentito di cantar vittoria sulla recessione e sui rischi di deflazione e di prospettare una crescita rapida da “fare invidia al resto d’Europa”. Entusiasmi comprensibili per chi si ritiene un condottiero alla guida di una novella Invincible Armada. Meno logici per chi ha studiato economia e già al termine del primo trimestre aveva chiare tutte le fragilità di un cambiamento di pochi punti decimali. Invece di puntare il dito sull’Istat (istituto autonomo al servizio della Nazione) che avrebbe incoraggiato il Governo a darsi obiettivi troppo ambiziosi,occorre chiedersi perché i presagi di ripresa sono finiti nelle secche in così poco tempo. Ciò che conta non sono i decimali ma la tendenza che esprimono.

La risposta la ha dato un Premio Nobel, Douglas C. North, deceduto, novantenne, pochi giorni fa. North è stato il padre della “cliometrica”, lo studio quantitativo, ossia con strumenti econometrici, della storia economica. Da un canto ha dimostrato che quando ci si pone su un “percorso predeterminato” di bassa crescita è difficile uscirne. Da un altro, North ha documentato che il metodo peggiore consiste nel fare riforme istituzionali senza accompagnarle da riforme economiche ancora più incisive. Infatti, a fronte del cambiamento istituzionale prospettato, le vecchie prassi, la cattive abitudine, il malcostume si irrigidiscono, frenando l’economia. Mentre North era un liberale di razza, Albert Hirschman è stato un socialdemocratico, ma nel suo manuale su come fare le riforme giunge alle stesse conclusioni di North.

Perché la ripresa si rafforzi e sia sostenibile occorrono riforme economiche vere, specialmente in materia di liberalizzazioni di privatizzazioni effettive (non collocamento sul mercato di azioni di aziende di Stato, mantenendo, però, la maggioranza saldamente in mano a Pantalone).

Cosa prevedere per il breve periodo. Le elaborazioni econometriche internazionali del “gruppo del consenso” (i 20 istituti privati di analisi econometrica previsionale) ha diramato a metà novembre le sue stime per i prossimi 24 mesi. Quelle per l’Italia erano già allora meno ottimistiche di quanto incluso nel Def: una ripresa lenta e fragile che nel 2016-2017 avrebbe portato a una crescita annua sull’1,2 – 1,3%. Una nuova tornata di stime del gruppo è attesa verso il 10 dicembre. Sino ad ora non sono state presentate elaborazioni dell’Observatoir Français de Conjucture Ėconomique né dal Keil Institute for World Economy. Contatti presi con i due centri di ricerca confermano che sono al lavoro. Attenzione, l’Observatoir Français de Conjucture Ėconomique è un istituto autonomo, ma pubblico (come era il nostro Isae); quindi, verosimilmente le stime verranno diramate dopo essere state almeno discusse con il governo. Keil Institute for World Economy, nel Nord della Germania, è privato e finanziato quasi interamente da donazioni; quindi, si farà sentire senza verificare con Berlino.

Da conversazioni con i due istituti è facile ipotizzare un ulteriore rallentamento. Per l’Italia, in particolare, tre sono le cinghie di trasmissione: a) l’export (il 15% circa del nostro export è diretto al Medio Oriente e al Nord Africa); b) il turismo e c) i consumi e gli investimenti. Non è difficile elaborare stime per le prime due voci sulla base di esperienze del passato quali le due guerre del Golfo.

È molto complicato, invece, valutare l’incidenza dell’incertezza sui comportamenti di consumatori ed investitori. Non è certo con maggiori stimoli monetari che la si riduce. Paradossalmente, anzi, tali stimoli possono aggravare la “trappola della liquidità”, il fenomeno in base a cui la politica monetaria non riesce ad avere alcuna influenza sulle scelte di famiglie e imprese. Non è certo la “flessibilità” nell’attuazione delle clausole del Fiscal Compact per allentare i vincoli Ue su indebitamento delle pubbliche amministrazioni a contenere l’incertezza. Non solo potrebbe aggravare la “trappola della liquidità” ma, a accordi vigenti, darebbe un respiro di breve periodo ed avrebbe effetti molto differenti da Stato a Stato in quanto aggraverebbe il debito pubblico (che già minaccia di essere appesantito dal prevedibile aumento dei tassi Usa). Peserebbe molto, in prospettiva, su Belgio ed Italia e comparativamente meno su Francia.

Tutto ciò, in parole povere, vuol dire che occorre rifare la Legge di stabilità. Ora il testo è alla Camera. E’ urgente rivederla adesso, andando (se necessario) per qualche settimana in “esercizio provvisorio”. L’alternativa è un decretone (od una legge di stabilità bis) di primavera. Che ci metterebbe in imbarazzo con il resto d’Europa.

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