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Il terrorismo e l’opportunità sciupata del bonus cultura

Dopo gli attentati di Parigi, il nostro primo ministro annunciò che la via italiana alla lotta al terrorismo sarebbe passata per la cultura. “Per ogni euro in sicurezza”, sottolineò Renzi in Campidoglio, “uno in cultura”. Ieri, alla prova della legge di stabilità, la misura più significativa in questa direzione – il bonus cultura per i neo-diciottenni – si presentava inficiata alla radice. Dal provvedimento sono infatti esclusi i figli degli immigrati privi della cittadinanza italiana. Proprio coloro dalle cui fila scaturiscono i jihadisti.

La delusione è forte. Con quell’annuncio infatti Renzi sembrava esibire la consapevolezza dell’origine del fenomeno che più preoccupa: l’esistenza, nella comunità nazionale, di persone che non si identificano con la società italiana ma con una religione interpretata in modo radicale. Privando le seconde generazioni di immigrati dell’opportunità di un contatto più capillare con le fonti della cultura italiana – musei, teatri, libri – si sciupa un’opportunità preziosa. Non che l’impostazione del governo apparisse risolutiva. Correggere le storture dell’integrazione è missione ben più ampia, che un provvedimento spot non può affrontare in modo decisivo. Ci vorrebbe uno sforzo organico, la collaborazione di un’ampia gamma di figure da individuare sia tra gli autoctoni che tra gli immigrati, al fine di favorire l’immedesimazione dei cittadini stranieri con una società caratterizzata da un pensiero debole e da una sfiducia generalizzata verso le proprie radici.

La definizione della platea dei beneficiari del bonus, i neo-maggiorenni, lasciava in ogni caso perplessi. Il problema che si deve aggredire interessa interi segmenti sociali, nei quali i giovani di origine straniera si trovano fianco a fianco con gli adulti che dovrebbero incoraggiare la loro integrazione. Inoltre, sin dal fatidico 11 settembre 2001, vi è un consenso intorno al nucleo del problema: alla base del terrorismo vi è la predicazione integralista e salafita, da cui la necessità di contrastarla favorendo l’affermazione del cosiddetto islam moderato. Sempre che questa impostazione sia corretta, appare chiaro che per debellare il jihadismo conta maggiormente l’avvicinamento dei mediatori ed interpreti della religione – imam e leader di comunità – così da fermare alla fonte la trasmissione di un messaggio ammorbato da un’ideologia che spinge alcuni sul sentiero della violenza.

Ferme restando queste precisazioni, rimane che il bonus cultura rappresentava un segnale positivo, la dimostrazione della volontà delle istituzioni di farsi carico di un problema epocale che genera angosce e discordia. Non è chiaro se, dopo l’approvazione da parte del Parlamento, il provvedimento potrà essere rattoppato in sede applicativa. Se così fosse, sarebbe bene tenere conto che la cultura è effettivamente la via maestra per l’integrazione. Portare più italiani a teatro o nei musei non pare il modo migliore per neutralizzare una minaccia che incombe sui nostri teatri e musei.

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