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Ecco perché Netflix sarà salutare per la tv italiana. Parola di Zuliani

È passato un mese e mezzo dall’ingresso ufficiale di Netflix in Italia. La piattaforma televisiva basata sul web che consente con un abbonamento mensile di vedere tutto quello che c’è a disposizione (Subscription video on demand) è sbarcata a fine ottobre offrendo un mese gratis ai clienti; dal mese successivo si cominciano a pagare 7,99 euro. In occasione dell’arrivo di Netflix usciva “Netflix in Italia e il Big Bang di cinema e tv. Analisi e previsioni sull’evoluzione del sistema audiovisivo” (Gruppo 24 Ore) di Stefano Zuliani.

L’autore ha diversi interessi: si è specializzato all’Università in economia e management dei media, si è occupato di ricerca economica, media e comunicazione, ha girato un lungometraggio con cui ha vinto un premio, ha fatto l’aiuto regista ed ha coprodotto un film. Ma è allo stesso tempo un manager che ha insegnato innovazione e management alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha lavorato in Confindustria e da venti anni lavora a Telecom, oggi come content manager; è uno di quelli che hanno messo in piedi Cubovision, poi trasformatasi in Timvision. Conosce insomma a fondo il mercato della comunicazione ma non è solo un uomo dei numeri: probabilmente è l’unico manager italiano che abbia una pagina su Mymovies e persino su Imdb.com, la bibbia americana del cinema.

Forse per questo – come si capisce leggendo il suo volume – ha valutato con entusiasmo l’arrivo in Italia di Netflix, un operatore fortemente capitalizzato e in grado di dare una scossa ad un mercato congelato da “cinquanta anni di dominio della tv lineare generalista”.

Il libro è ricco sia per la mole di dati che offre sia per le numerose interviste ad esperti del settore, produttori e distributori cinematografici, registi ed attori.
Innanzitutto però racconta la storia di Netflix, nata nel 1997 da una idea banale in un territorio particolare come quello americano: recapitava via posta i film a noleggio, su vhs e poi su dvd. Due anni dopo la nascita inventò la formula dell’abbonamento: una tariffa mensile consentiva quello che nei ristoranti Usa si chiama “all you can eat”. Nel 2005 distribuiva più di 1 milione di film al giorno. Nel 2007 affiancò al rental by mail lo streaming. Nel 2011 si lanciò nella produzione diretta con House of cards, che fu trasmesso per la prima volta due anni dopo.

Oggi ha 2000 dipendenti ed è presente in Canada, in Sud America, nel Regno Unito e in Irlanda, in Germania, in Francia, in Scandinavia, in Svizzera, Austria, Belgio, Lussemburgo, Australia, Nuova Zelanda. Il prossimo anno dovrebbe arrivare anche in Giappone e in Cina. Ha quasi 70 milioni di clienti nel mondo, 42 milioni dei quali sono negli Stati Uniti (circa 3 nel Regno Unito). Dal 22 ottobre è in Italia. Funzionerà?

Intanto – ricorda Zuliani – in Italia abbiamo alcuni limiti strutturali: i navigatori “forti” di Internet sono il 33 per cento del totale. Solo il 25,9 per cento usa Internet per vedere film (ma lo fa quasi il 50 per cento dei giovani sotto i 29 anni). Stefano Parisi, amministratore delegato di Chili Tv, piattaforma di film in streaming e in download, ricorda anche che la maggior parte delle smart tv vendute nel nostro Paese non viene poi connessa a internet: “In Italia la stessa pay tv è arrivata a cinque milioni di abbonati, e non cresce. Il mercato del dvd si è dimezzato in cinque anni e la pirateria erode 500 milioni di valore al mercato”. Del problema della pirateria parlano tutti gli intervistati.

Per ora dunque in Italia offrire film via Internet non è che abbia funzionato molto. “Nel 2014 i ricavi per la visione di film via Internet in Italia, tra Subscription Video on Demand e Video on Demand è stata di soli 37 milioni di euro” (il cinema ne incassa circa 100 all’anno), scrive Zuliani. In particolare nel Video on Demand a farla da padrone è Apple, mentre gli altri due operatori (Timvision e Chili) “raggiungono a malapena qualche centinaio di migliaia di user”.
E poi c’è la qualità della connessione: Stefano Balassone – come molti altri intervistati – insiste sulla scarsa diffusione della banda larga. Un altro limite sono le abitudini di consumo: in Italia siamo ancora poco abituati ad acquistare con carta di credito on line. “Le vendite online continuano a crescere da 10 anni”, nota Zuliani, ma “con progressione lineare, non esponenziale”.

Luigi De Laurentis, un altro degli intervistati del volume, lo rileva con un esempio: “basti pensare alle code che, come negli anni ’60, si trovano ancora oggi ai caselli autostradali”. La gente non usa la carta di credito neppure lì, figurarsi in rete. Nonostante i limiti però tutti – esperti, produttori, artisti, distributori, proprietari di sale – salutano con favore l’arrivo di Netflix in Italia. Servirà a dare respiro ad un mercato ingessato, a sollecitare la competizione, a fare spazio ad idee che vadano oltre i prodotti stanchi della tv generalista.

Oltre a sollecitare le tv generaliste e Sky, l’arrivo di Netflix porrà sicuramente anche un problema sulle cosiddette window, le finestre con cui si distribuiscono nel tempo i contenuti. Oggi un film passa prima al cinema, poi – dopo un numero definito di settimane – nel circuito degli home video, poi sulla tv a pagamento, poi su quella generalista. L’attore Luca Argentero, un altro degli intervistati, afferma che è un sistema ormai del tutto insensato: “Va bene salvaguardare la sala cinematografica per le prime quattro settimane ma poi le pratiche, ora fortemente rigide e vincolanti, dovranno lasciare spazio ad una maggiore fluidità”, inevitabile.

Bruno Zambardino, docente di economia e organizzazione dello spettacolo alla Sapienza, prevede una inevitabile “maggiore pressione sulle finestre di distribuzione” e anche altre conseguenze positive sul cosiddetto geoblocking, ovvero sulle limitazioni alla fruizione di contenuti sul web quando si passano i confini. “Netflix – prevede – sovvertirà gli attuali modelli di business fondati sulle esclusive nazionali”.

La company Usa per adesso non ha fatto faville quanto ad offerta in Italia, e probabilmente non vuole correre troppo: il modello di business è basato sulla profilazione dell’utente e per capire cosa vogliono gli abbonati ci vorrà qualche tempo. Intanto però si rivolge a quella fetta di mercato che gli esperti chiamano kids: il primo produttore di contenuti italiano ad aver firmato un accordo con la piattaforma è Iginio Straffi, creatore delle Winx e fondatore della società di animazione Rainbow. Le Winx, insieme a Mia and me ed a Poppixie (tutte serie animate made in Italy), sono presenti da anni sulla piattaforma negli altri Paesi e Rainbow ha firmato un accordo con Netflix per la produzione di uno spin-off dalle Winx che sarà distribuito all’estero.

Il merito del lavoro di Zuliani è nella ricchezza di temi e di spunti di analisi offerti dai 33 interlocutori intervistati oltre che dalla mole di dati, grafici e tabelle, utili non solo a comprendere un fenomeno ma anche a immaginare davvero possibile un Big Bang della tv per come la conosciamo oggi.

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