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Perché l’Italia deve occuparsi della Libia

Di Leonardo Bellodi
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Chissà se il vero ispiratore della conferenza tenutasi un paio di settimane fa a Roma e della risoluzione Onu sulla Libia sia lo storico greco Erodoto che ci racconta una storia. Nel 7 secolo avanti Cristo, una delegazione di Tera (la moderna Santorini) si recò da Delfi per consultare l’oracolo al fine di risolvere alcune questioni. Delfi fornì il proprio responso: i greci avrebbero dovuto fondare una città tra i libici, come all’epoca venivano chiamate le popolazioni del Nord Africa. Il consiglio fu ignorato e Tera per i successivi sette anni fu colpita da siccità e carestia. Una nuova delegazione fu dunque inviata dall’oracolo che ricordò loro il consiglio disatteso. Nel 630 a.C., i greci fondarono così a Cirene una primo insediamento e successivamente Berenice, la moderna Bengasi, città da dove la rivoluzione del febbraio 2011 ebbe inizio. Berenice diede il nome alla regione che la circondava, la Cirenaica, e fu sede di una prestigiosa scuola di medicina e accademia di filosofia. A Tera la siccità finì e i greci beneficiarono degli studi condotti a Berenice.

Oggi la comunità internazionale e in particolare l’Italia si trovano nella stessa situazione descritta da Erodoto. La Libia può essere il nostro peggior incubo o il nostro più prezioso alleato nel continente africano.

Ignorare la situazione in Libia o fallire nella ricerca di soluzioni efficaci avrà conseguenze inimmaginabili. Isis/Daesh, immigrazione, crimine organizzato, energia, stabilità della regione sono i temi che si legano e ci legano alla crisi libica.

L’Italia è al centro pista di tutto ciò. I nostri colleghi europei e di oltreoceano possono scegliere le rispettive priorità di politica estera in funzione dello scenario internazionale. Ieri l’Afganistan oggi la Siria, ieri la Russia oggi il Mali, tanto per non fare qualche esempio. L’Italia non può permettersi questo lusso. La nostra priorità non può che essere la Libia per ragioni storiche, geografiche, energetiche, commerciali. Siamo i primi a dover (e voler) accogliere il disperato aiuto di migliaia di immigranti, siamo noi a ricevere la maggior parte del gas libico e il governo libico detiene rilevanti partecipazioni azionarie in quasi tutte le società strategiche italiane.

Cosa fare dunque? Dobbiamo partire da un dato storico e non da leggenda questa volta. La Libia non è mai stata una Nazione. E’ uno Stato creato dagli italiani negli anni 30 ed è poi tenuto unito per 42 anni dalla dittatura di Gheddafi. Nel cercare una soluzione è dunque necessario partire dalla considerazione che ci troviamo di fronte a una società civile composta da kabile e tribù così diverse tra loro e che devono necessariamente trovare una adeguata rappresentazione all’interno di ogni istituzione. Oggi alcune di esse si sentono tradite e defraudate e questo sentimento ostacola il percorso di integrazione. Occorre poi tenere in considerazione due elementi che le accomunano. L’orgoglio e una innata diffidenza verso l’intervento esterno. Nella riunione di Tunisi del 6 dicembre, la prima ad essere organizzata senza la mediazione delle Nazioni Unite, i rappresentanti delle varie istanze libiche hanno voluto sottolineare nella dichiarazione finale che un accordo di massima per una ipotesi di governo di unità nazionale era stato raggiunto senza alcuna ingerenza esterna.

Forse fino ad oggi abbiamo sbagliato proprio questo; siamo stati percepiti come coloro che volevano imporre una soluzione con l’aggravante – fatale- che siamo stati in più incapaci di supportarla con fatti concreti.

Allora, lasciamo che tutte le istanze libiche – tribù, kabile, società civile – esprimano la loro scelta. E poi giochiamo un ruolo fondamentale – con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione – affinché il modello di governo scelto possa affermarsi e funzionare.

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