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Vi racconto il mio riformismo sindacale. Parla Bentivogli

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’intervista di Luigi Chiarello apparso sul numero odierno del quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

«Il lavoro è cambiato. Solo un sindacato che gira al largo dalle fabbriche non lo sa». Si, dunque, alla proposta del ministro del lavoro, Giuliano Poletti, di superare il parametro dell’orario come criterio di retribuzione dei lavoratori. Anche perché, una volta eliminato questo storico vincolo, «i lavoratori saranno finalmente considerati persone, non numeri di un processo produttivo seriale». Il via libera convinto alla proposta Poletti arriva da Marco Bentivogli, segretario generale della Fim Cisl. Per Bentivogli, la liberalizzazione dell’orario di lavoro sarebbe una sorta di terza rivoluzione industriale silenziosa.

Perché segnerebbe la fine del fordismo, o almeno del suo effetto più nefasto: l’alienazione da catena di montaggio. Quella sorta di spietata mega-macchina, caratterizzata dalla spersonalizzazione dei processi produttivi, che finì per nutrire di ideologia antagonista gran parte del sindacalismo italiano. E la cui avanzata, agli albori, fu così magistralmente interpretata da Charlie Chaplin, nel film «Tempi Moderni». Allora correva l’anno 1936. Oggi, a fine 2015, la visione che Bentivogli sciorina a ItaliaOggi è quella di un sindacato industriale che capovolge i paradigmi del ‘900. Degli slogan sulla «svalutazione del lavoro», forzata dalla feroce competizione internazionale, dice: «Essere contro la globalizzazione è come arrabbiarsi quando piove».

Sul leader della Cgil, Susanna Camusso, sibila: «La sua unità sindacale è puramente antigovernativa». Poi, pizzicato sulle ambizioni politiche del collega Maurizio Landini, sbotta: «Oggi il segretario Fiom punta prioritariamente alla Cgil e in caso di insuccesso prevede come ritirata strategica la discesa in politica».

Cosa pensa della proposta Poletti di superamento dell’orario di lavoro come criterio di retribuzione dei lavoratori?

Solo chi gira al largo dalle fabbriche non sa che per molti lavoratori quella che si chiamava «prestazione lavorativa» è già cambiata. Basta guardarsi attorno, leggere alcuni accordi sindacali, che dai servizi si stanno diffondendo nel manifatturiero, per capire che lo smart working è una realtà nelle imprese più innovative. I problemi, semmai, possono venire da un sindacato che invece di «sporcarsi le mani» preferisce abbandonarsi ad azioni unilaterali.

Il lavoro del futuro sarà ad elevate competenze. Per questo noi abbiamo chiesto di inserire nel rinnovo del Contratto Nazionale il diritto soggettivo alla formazione. Inoltre i cambiamenti che si preparano con Internet of things e Industry 4.0 rischiano di rendere l’attuale disciplina dell’orario di lavoro un vincolo più che un’opportunità per il lavoratore.

Che vantaggi ne ricaverebbero le aziende?

In un sistema che chiede al lavoratore risultati della sua opera, la rigidità di orario rischia di incidere negativamente. Occorre affermare una nuova idea di impresa e di lavoro. Alle aziende che puntano alla fascia alta di prodotti serve che il lavoro sia regolato in base alle nuove sfide e con nuovi parametri. Senza questa flessibilità «attiva» diventa complicato chiedere coinvolgimento e motivazione. Del resto, le 8 ore al giorno, 40 ore a settimana, 11 mesi l’anno normano una quota sempre più ridotta del lavoro.

E i lavoratori cosa ne guadagnerebbero?

I lavoratori verrebbero considerati persone e non numeri dentro un processo produttivo spersonalizzato e seriale. Elevare le competenze, l’ingaggio cognitivo, la maggiore conciliazione vita lavoro aprono spazio per un lavoro migliore, per una dimensione realizzativa del lavoro che dovrebbe essere un valore condiviso.

L’industria ha segnato, con le sue rivoluzioni e la conquista progressiva dei diritti dei lavoratori, lo sviluppo dell’Occidente. E l’orario, con la sua riduzione progressiva nell’ultimo secolo, ne è stato un postulato fondativo. Molto più rigido dell’articolo 18.

È così, ma le strategie di riduzioni generalizzate dell’orario di lavoro sono sempre più inefficaci. Oggi la stabilità va costruita su competenze e merito, più che su una regolazione rigida dell’orario.

Questa battaglia è simbolica. Si tratta di un approccio «più realista del re» o lo considera un modo di fare sindacato strategico per il sistema Paese?

Quando le posizioni sindacali e datoriali somigliano alle «danze propiziatorie» di cui parlava Tarantelli, volte ad affermare ideologismi astratti, si fa l’interesse di chi è già a posto. L’alzata di scudi sulle parole del ministro Poletti tradisce una narrazione sul lavoro e sul sindacato ferma al secolo scorso. Per noi è strategico rilanciare un nuovo inizio del sindacato italiano. Il pragmatismo è la precondizione per un sindacato moderno e in campo, davanti alle sfide e non a rimorchio di esse.

I critici credono che questa «modernizzazione» punti in realtà, sotto la pressione della globalizzazione, a rendere competitivo il paese svalutando il lavoro e comprimendo i diritti.

Essere contro la globalizzazione è come arrabbiarsi quando piove. Il sindacato profeta di sventura è attraente mediaticamente, ma inutile, anzi dannoso per i lavoratori. Quel sindacato ha inventato la favoletta dei «diritti acquisiti», buona solo a giustificare un dualismo sempre più marcato tra le generazioni .

Quindi, quello che oggi separa la Fiom da Cisl e Uil è un modo capovolto di fare sindacato.

Non vedo l’ora di parlare di strategie unitarie. Ma la Fiom è in preda ad una deriva gastro-mediatica che la consegna ad un apprendistato pre-elettorale che le impedisce qualsiasi convergenza con chi non solo non ha mai smesso di fare solo sindacato, ma cerca di cambiare radicalmente non solo a parole.

Sta dicendo che Landini usa la Fiom e i lavoratori per farsi campagna elettorale?

La Coalizione Sociale non è mai nata tra la gente ed è anche sparita dai monitor. La Fiom sa bene che i lavoratori vogliono sindacalisti senza la doppia casacca politica/sindacale. Oggi il segretario Fiom punta prioritariamente alla Cgil e in caso di insuccesso prevede come ritirata strategica la discesa in politica. Finchè sussiste, questo doppio ruolo frantumerà ogni speranza di convergenza unitaria.

Ormai la triplice sembra non esista più. Si va in ordine sparso. L’orizzonte è il sindacato tedesco o quello americano?

L’unità che propone la Camusso è in chiave anti-governativa. Non possiamo essere visibili solo perché siamo contro. Io apprezzo il modello scandinavo e il lavoro che negli Usa prima Bob King e poi Dennis Williams hanno fatto per modernizzare l’Uaw. Voltiamo pagina: la concertazione non c’è più, anche se il nostro modello organizzativo non ne ha ancora preso atto.

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