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Perché in Francia ci si accapiglia sulla nazionalità

“Décheance”, decadenza dalla nazionalità. La décheance sarà il tormentone del prossimo mese in Francia. Gli attentatori del 13 novembre a Parigi erano quasi tutti francesi, con doppia nazionalità (magrebini). Quindi, nella lotta anti-terroristica, il presidente Hollande e il suo governo hanno preannunciato di voler levare la nazionalità francese a coloro che compiano atti di “guerra” contro la Francia e che abbiano altra nazionalità. Fin qui per il cittadino comune tutto sembra normale. Ma in Francia non lo è.

Sembra che il Paese si porti ancora dietro il complesso di colpa per le colonie; molti abitanti di quelle terre si sono trasferiti in Francia e godono di doppia nazionalità, essendo essa possibile nei propri Paesi d’origine. D’altronde la “France républicaine” è laica, multietnica e quindi aperta ad accogliere gente da tutto il mondo, a cominciare dalle sue ex colonie. Si può essere francesi per ius soli (nascita in Francia), per discendenza (da un o una francese), per matrimonio (con un o una francese), per studi e residenza e così via.

Il “sistema” sembra essere sempre più pieno di buchi; tanto che non esistono statistiche ufficiali in materia; ma si parla di più di 3 milioni e mezzo di persone con doppia nazionalità. Il governo vuol colpire solo quelli che si sono macchiati di atti di terrorismo. Ma la discussione si è allargata ai principi, ai valori “repubblicani”; un cittadino francese è francese e basta; la sua origine non interessa. Se si comincia a fare delle eccezioni, si corre il pericolo di scivolare su un nazionalismo vecchio e superato da tempo.

D’altra parte le “antiche” famiglie francesi, povere o ricche che siano, cominciano ad essere stufe delle violenze procurate da “neo-francesi” e per di più, con nazionalità plurime. Il dibattito si è aperto, anche perché il ministro della giustizia, Christiane Taubira (già tra i capi della guerriglia anti-francese per l’indipendenza della Guyana, che peraltro è rimasto territorio d’oltremare francese), si è dichiaratamente schierata per lo ius soli, assieme a quasi tutta la sinistra socialista e non.

La proposta governativa avrebbe effetti pratici molto limitati; ma ormai la discussione è scivolata sui valori e quindi vengono scomodati i massimi sistemi: per esempio si è sollevata la questione del rapporto cittadino-Stato nelle repubbliche (ove il cittadino deve essere sovrano) e nelle monarchie (ove il cittadino è assoggettato al re e la nazionalità perde di rilievo). A eccitare gli animi forse ha anche contribuito un recente romanzo di grande successo, scritto da Michel Houellebecq (Sousmission), ove si prevede in un prossimo futuro un presidente francese mussulmano, di origine magrebina.

Ma il problema non è peregrino in un mondo sempre più “piccolo” e internazionalizzato. La nascita di bambini in terre lontane da quelle delle proprie origini, i matrimoni, le migrazioni, il lavoro, rappresentano tutti occasioni di legami “nazionali” con storie e territori diversi. La scelta in fondo, per ogni Paese (non solo per la Francia, quindi) è tra una persona-una nazione o una persona-più nazioni. Questo secondo caso, anche in termini giuridico- amministrativi, non è questione di poco conto. La complessità del problema viene pure dal fatto che i più di 200 Paesi del mondo si sono naturalmente dati regole diverse in materia, tanto che il gioco dei passaporti, a fini utilitaristici e individuali, è sempre più praticato.

Anche la Unione Europea non ha un sistema “comune”; si va Paese per Paese, da un sistema al suo opposto. A Bruxelles si discute della taratura delle pesche o dei mandarini; ma i valori delle convivenze restano argomenti tabù.

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