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Checco Zalone è il nuovo Alberto Sordi

Di Mario Adinolfi

Il successo dell’ultimo film di Checco Zalone è stratosferico, numeri pazzeschi, sale cinematografiche prese d’assalto, file in biglietteria con litigi tra sorpassanti. Bisogna guardarle le persone in fila, ogni età, ogni ceto sociale, ogni provenienza geografica. E allora può spuntare solo una domanda: perché? Perché a questo laureato in giurisprudenza di Capurso che da Capurso non si muove, lì vive e lì vuole restare, riesce quello che non riesce a nessun altro, con relative inevitabili invidie?

In questi giorni davvero senza precedenti nella storia del cinema italiano degli ultimi trent’anni, ho letto praticamente chiunque attardarsi nel triste esercizio della recensione. Come se qui la questione fosse il film. Ma il tic del finto intellettualismo italiano quello sa fare, guardare il film e elogiare chi ha già vinto, come se Checco Zalone potesse essere trattato come un nannimoretti qualsiasi. E allora ecco l’articolo che affianca varie scene cerchiobottiste e dice che il film è “democristiano”, ecco il critico improvvisato che fa l’esegesi della canzoncina del film e spiega che il successo è lì nella nostalgia della prima Repubblica, ecco Aldo Grasso specialista nello sport di salire sul carro del vincitore scrivere che Zalone ha “lo sguardo anticonvenzionale del fuoriclasse”. Se non avesse incassato duecento milioni di euro con quattro film, scommetto che lo sguardo sarebbe stato convenzionalissimo.

Poi ci sono i critici da social, i cinefili frustrati, i politici, attori e attrici che sperano di lavorare con lui, i conduttori televisivi che lo ospitano (da Fazio a Giletti, i milioni ti portano ovunque). Tutti a voler raccontare il film, a proporre spezzoni del film, a elencare le citazioni contenute nel film. Sbrighiamocela subito: Quo Vado? è un film divertente, semplice, per tutti. E’ un film confinato. Se passi Ventimiglia, se vai oltre Vipiteno, è un film che non esiste. Per gioco sono andato a vedere i primi dieci film per incassi della storia del cinema mondiale: Via col vento, Titanic, Guerre Stellari, ET, I dieci comandamenti, il dottor Zivago, Lo squalo. Ok, è cinema americano. Vogliamo andare dai vicini francesi? In testa ci sono il Luc Besson di Lucy e il meraviglioso Quasi amici. Noi abbiamo Checco Zalone primo e Checco Zalone secondo. Due film che per il mondo non esistono, di un autore che può evitare di rinnovare il passaporto, non gli serve. E davvero i nostri intellettuali perdono tempo a recensire il film? Davvero questo è il successo di un film? Di un film di cui il novanta per cento delle persone ignora persino il nome del regista? Avrebbero dovuto tutti andare in fila e fare il biglietto, guardare la sala, ascoltare i commenti della gente. E poi chiedersi: perché?

Checco Zalone ha successo, un successo travolgente e colossale, imparagonabile a quello di qualsiasi altro personaggio non solo dello spettacolo, perché manda agli italiani un messaggio semplice. Dice Checco: siete meglio voi. Checco Zalone, cioè Luca Medici, prende l’italiano (non l’italiano medio, attenzione, se cercate la rappresentazione della medietà allora dovete rivolgervi all’altro genio nato negli Anni Settanta al Sud, l’abruzzese Maccio Capatonda) lo sfronda dalle apparenze e dagli scimmiottamenti, ne mette in scena l’essenza. Lo fa con lo sguardo dell’entomologo o, se preferite, del giurista: lo disseziona e lo analizza con freddezza. Poi lo rappresenta, lo colora un po’, ma lo propone per come è: contraddittorio, guascone, internazionalmente impresentabile, sostanzialmente provinciale, incomprensibile agli stranieri, di fatto irrilevante, ma anche profondamente generoso, legato alla famiglia, con un rapporto uomo-donna assolutamente questo sì anticonvenzionale (mentre guardavo il film mi veniva in mente “Il paradosso norvegese”, documentario sull’ideologia gender in Norvegia guarda caso girato da un comico), con una evidente radice religiosa tradizionale ma ineliminabile e una dimensione identitaria legata al nostro essere unici e cioè non assimilabili al frullatore mondialista, il tutto con un sorriso a stemperare e con una bontà di fondo che avvolge ed è il tratto accogliente che ci caratterizza.

C’è l’assalto del mondo all’Italia, alla sua unicità: può essere compiuto tramite il terrorismo islamico (in “Che bella giornata” il plot è tutto su fondamentalisti che vogliono far esplodere il Duomo di Milano) o tramite i comportamenti convenzionali dei “paesi civili” (la Norvegia è irrisa, il fascino delle loro regole crolla persino davanti al Festival di Sanremo, il loro matrimonio gay è ridicolizzato, si cita il tasso di suicidi, il cibo immangiabile, la lingua impronunciabile). Zalone dice, ovviamente in maniera paradossale, agli italiani: siete meglio voi. Glielo dice sinceramente ed è ricambiato da un affetto spasmodico di un pubblico che non ne poteva più dei film ambientati nel quartiere Prati, di Laura Morante che ha due mariti e tanti amorazzi, di Marco Bellocchio e dei suoi film per insultare la religione e far lavorare il figlio, della rissa tra i fratelli Muccino, di Tornatore che non s’è ancora ripreso dall’Oscar e delle commedie con Giallini, Mastandrea e la Cortellesi mescolati a piacere con spruzzate di Battiston e Edoardo Leo, dei gay di Ozpetek, tutto che proviene dallo stesso milieu sociale, dallo stesso contesto e non rappresenta niente dell’Italia di oggi. Zalone non solo la racconta, la ama e la ama così com’è, per la sua profonda e unica natura. Lo dice, senza scorciatoie. Ti fa ridere mentre lo dice, ma la ragione del suo successo è nell’affermazione spudorata: guardate che siamo meglio noi.

Siamo meglio noi con tutti i nostri limiti e siamo meglio noi con ciò che ci caratterizza. Sono migliori le nostre donne. Le nostre mamme, punti di riferimento imprescindibili. Le nostre mogli, che poi diventano mamme. La figura femminile è determinante nel successo della narrazione di Zalone, è sempre salvifica e angelicata, anche se zoccola (in “Cado dalle nubi” la idealizzata Marika in realtà spasima per il professore universitario vanesio e sposato, in Quo Vado? il personaggio interpretato dalla splendida Eleonora Giovanardi ha tre figli da tre partner diversi prima di dare una femmina a Checco) alla fine è sposa e madre. C’è poi il tema dell’omosessualità: Zalone è carta vetrata sui luoghi comuni Lgbt, ma a lui è consentito tutto, anche usare più volte in ogni suo film l’epiteto “ricchioni” che nessun altro autore cinematografico inserirebbe mai ormai in un suo lavoro. Anche questo coraggio è premiato, lo sguardo è bonario, ma il messaggio irriverente, non omologato, arriva forte e chiaro. E piace.

Checco Zalone è il nuovo Alberto Sordi, i suoi film ci aiuteranno a raccontare la storia degli italiani del ventunesimo secolo come Sordi ci ricorda quel che fummo nel ventesimo. Gli mancano gli sceneggiatori di Sordi, gli mancano i registi di Sordi, ma il tratto è lo stesso: guardare e riprodurre, come nessun altro è capace. Con Zalone siamo allo specchio di noi stessi e lui ci dice che non siamo poi così male, tutti, debolezze incluse. Anzi, forse grazie proprio alle nostre debolezze. L’importante è non rinunciare a essere noi stessi, non trasformarci in quel che non siamo. Anche perché non è possibile. Questa è l’Italia, questi sono gli italiani, abbiatene rispetto, perché alla fine siamo meglio noi.

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