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Siddhartha e Isa (Gesù) alla guerra santa

Diffuso il 3 gennaio, l’ultimo video horror dello Stato islamico ha gettato la Gran Bretagna in uno stato di frenesia e prosternazione. L’accento inglese del protagonista ha mobilitato simultaneamente le autorità e la stampa, giunte alla medesima ancorché provvisoria conclusione: l’uomo sarebbe il londinese Siddhartha Dhar, 32 anni, del suburbio orientale di Walthamstow, finito in guardina per le sue idee estremiste e poi sfuggito alle grinfie di Scotland Yard nonostante la richiesta, non adempiuta, di consegnare il passaporto. Ad aggiungere pathos alla vicenda, la presenza nel filmato di un altro britannico, un bambino di cinque anni identificato dal nonno costernato: si chiama Isa, che significa “Gesù”, ed è figlio di una delle tante spose europee dei mujaheddin dell’IS. Nel video, il piccolo afferma minaccioso: “Uccideremo i miscredenti”.

Il caso colpisce al cuore un Paese che il mese scorso ha deciso di dare man forte alla Francia nei bombardamenti in Siria. Dell’identità di Siddhartha Dhar, noto anche col nom de guerre Abu Rumaysah, sono stati rivelati nel corso di queste ore convulse numerosi dettagli. Nasce induista, ma si converte all’islam sull’onda di un trauma giovanile, la perdita a 16 anni del padre. Secondo un’altra versione, attribuita dalla stampa agli ex vicini di casa del jihadista, la conversione sarebbe avvenuta invece su influenza della moglie integralista. Un compagno della Broomfield School, nel nord di Londra, ricorda la passione di Dhar per l’Arsenal, i leggendari Nirvana, la crema di whisky Baileys, i film d’azione a stelle e strisce e i flirt. Sognava di studiare all’università e di fare il dentista. Poi, in un tornante decisivo, arrivano l’incontro con l’islam e la discesa agli inferi: la frequentazione della moschea di Finsbury Park, regno del famigerato predicatore qaedista Omar Bakri Mohammed, la militanza in organizzazioni estremiste come “Musulmani contro i Crociati”, le partecipazione a manifestazioni di piazza con slogan e toni livorosi. Queste medaglie gli guadagnano l’attenzione dei media, che lo intervistano più volte trovando in quest’uomo dai tratti asiatici numerosi tratti sapidi: dichiarazioni sulla necessità di introdurre la shari’a in Gran Bretagna, attestazioni di simpatia per lo Stato islamico, elogio per chi sceglie il “nobile” jihad. Nel 2014, alla trasmissione “Sunday Morning” della BBC, dichiara: “per 90 anni abbiamo vissuto senza un califfato e senza che molte delle norme previste dal Corano fossero osservate. Così, ora che abbiamo questo califfato, credo che vedrete molti musulmani di tutto il mondo raccogliere l’opportunità di vedere il Corano pienamente rispettato”.

Queste idee pongono Siddhartha in completa sintonia con l’agit-prop Anjem Choudary, capo della sigla radicale Al-Muhajiroun, di cui diventa uno stretto collaboratore. Una liason dangereuse che lo porta dritto nella lista delle persone attenzionate anche per sospetti legami col terrorismo. Così, per l’ennesima volta, finisce tra le braccia delle forze dell’ordine. Che lo arrestano nel settembre 2014 insieme al leader di Al-Muhajiroun e ad altre sette persone. Incomprensibilmente, però, viene non solo liberato poche ore dopo, ma la richiesta di consegnare il passaporto non viene eseguita seduta stante. Rilasciato su cauzione e con l’obbligo di restituire il documento entro il 3 ottobre, Dhar può tranquillamente fare i bagagli e prendere con la moglie gravida e i quattro figli un bus diretto a Parigi, dove li attende un jet con destinazione Turchia, porta di accesso al jihad siro-iracheno. Abu Rumaysah non resiste alla tentazione di prendere per il naso su Twitter l’intelligence del suo Paese natale: “che sistema di sicurezza scadente deve avere la Gran Bretagna”, scrive, “per avermi permesso di fare una passeggiata per l’Europa e raggiungere lo Stato islamico”. Più tardi, userà di nuovo Twitter per postare una foto suggestiva: sé stesso con il figlioletto su un braccio e, sull’altro, un AK-47. Nella nuova patria, Dhar non sembra impegnato nei combattimenti. Nel campo della propaganda, però, si distingue subito per zelo e passione: è sua la guida in PDF di 47 pagine scritta per attirare i simpatizzanti occidentali desiderosi di sperimentare il brivido del jihad e vivere un’esistenza descritta come piena di vantaggi.

Si arriva così all’interpretazione del ruolo di protagonista del video diffuso tre giorni fa. Che replica, decapitazioni a parte, lo schema già visto con un altro incubo per la Gran Bretagna: quello di Jihadi John, al secolo Mohammed Emwazi, altro londinese che lo Stato islamico aveva valorizzato per la sua provenienza occidentale. Emwazi, com’è noto, è stato ucciso da un drone poco prima degli attacchi di Parigi del 13 novembre, chiudendo un capitolo lugubre per un Paese che non ebbe pace fino a che non riuscì a scoprire il nome dell’uomo che, col volto coperto, arringava gli inglesi parlando la loro lingua e roteando il coltello destinato a tagliare la gola dei malcapitati in tuta arancione. Nel filmato, che dura 11 minuti, Dhar definisce “imbecille” il premier Cameron, deride lo sforzo occidentale di contrastare l’impero del califfo e annuncia la prossima invasione della Gran Bretagna. Poi, l’esecuzione degli ostaggi, con un colpo alla nuca. A farne le spese sono cinque arabi, accusati di essere “spie” del governo inglese, probabilmente per aver trasmesso immagini che documentano la condizione dei residenti nei territori dello Stato islamico.

L’emozione dei britannici sono accentuate dall’altro protagonista del video, il piccolo Isa. Che, come già detto, è stato riconosciuto dal nonno, un tassista di origini nigeriane che ha avuto il demerito di dare vita alla figlia Grace, oggi nota col nome della prima sposa del profeta Maometto, Khadija. All’età di 18 anni, la ragazza cresciuta nel distretto londinese di Lewisham si converte all’islam. Quattro anni dopo, il trasferimento nelle lande califfali, dove ad attenderla c’è il suo compagno Abu Bakr, altro londinese convertito di nazionalità, pare, svedese. Con loro, Khadija e Abu Bakr non hanno solo il povero Isa. C’è anche il fratellino, che la madre definisce un “piccolo mujaheddin”. Come Siddharta, anche lei non ha resistito alla tentazione di usare Twitter per mostrare al mondo la prole offerta in voto al jihad. Secondo la stampa britannica, su Twitter sarebbe comparsa un’immagine di Khadija con Isa e un AK-47. Perché il jihad, oltre che un obbligo religioso, è anche una moda.

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