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Renzi, il referendum e il ruolo di Mattarella

Giampaolo Pansa, che vi ha lavorato per un po’, è curioso di vedere la Repubblica di carta a guida triplice. Una guida che gli ha addirittura suggerito, nel “Bestiario” domenicale di Libero, un paragone col Vaticano, dove convivono felicemente Papa Francesco e l’emerito Benedetto XVI. A Repubblica gli emeriti sono diventati due, stando per aggiungersi il direttore uscente Ezio Mauro al predecessore e fondatore Eugenio Scalfari. Sul soglio sta invece salendo Mario Calabresi, che Pansa aspetta alla prova dei guai giudiziari che sta rischiando, a suo avviso, l’editore Carlo De Benedetti per l’amianto dell’allora sua Olivetti.

Ma il vero amianto, diciamo così, del nuovo direttore di Repubblica sarà la campagna referendaria d’autunno sulla quale ha deciso di scommettere il proprio futuro politico il simpatetico presidente del Consiglio Matteo Renzi. Una campagna che nella versione plebiscitaria prospettata dal capo del governo, pur negata o ridimensionata a parole, viene contestata dal fondatore e direttore emerito Scalfari. Che non teme naturalmente la sconfitta di Renzi, con la bocciatura della sua riforma costituzionale e la conseguente crisi governativa, ma la vittoria perché essa segnerebbe un rafforzamento del premier rischioso, anzi decisamente dannoso per la democrazia e la sinistra, o quel che ne rimane in Italia.

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Sulla decisione di Renzi di giocarsi tutto nel referendum confermativo sulla riforma istituzionale che sta uscendo dal Parlamento, pur senza il paracadute del cosiddetto quorum partecipativo richiesto per i referendum abrogativi di leggi ordinarie, si sta sviluppando un dibattito spesso pretestuoso.

Francamente, si può contestare a Renzi, anche da parte dei suoi sostenitori, l’opportunità o utilità di una scommessa così forte, che si rivelerebbe coraggiosa e lungimirante in caso di vittoria ma temeraria e per lui rovinosa in caso di sconfitta. Non si vede invece come si possa contestare addirittura la legittimità della sfida renziana, sino ad auspicare un intervento censorio del capo dello Stato, non ritenendosi sufficiente il dissenso espresso dal presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Che, pur deciso a sostenere la riforma anche nel passaggio referendario, ha voluto precisare pubblicamente di non condividere il tentativo di farne un plebiscito sul governo, e su Renzi in particolare.

Ma anche il dissenso di Napolitano dal carattere plebiscitario del referendum nasce da una preoccupazione tutta politica, non dì legittimità costituzionale. In particolare, “Re Giorgio” teme contemporaneamente la bocciatura della riforma, non per il suo contenuto ma per spirito antirenziano, e il vuoto politico che potrebbe derivare da una crisi governativa. Alla quale si è già scritto e detto, a torto o a ragione, che Sergio Mattarella sarebbe tentato o addirittura deciso a reagire imboccando il percorso delle elezioni anticipate.

A questo proposito, tuttavia, non mi sembra che in caso di crisi il capo dello Stato possa sottrarsi all’obbligo di un rinvio del governo alle Camere. Che, anziché sfiduciare Renzi, potrebbero rifiduciarlo, paradossalmente ancora più forte di prima, proprio per evitare il loro scioglimento.

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