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Cosa c’è dietro la polemica tra governo e Commissione Europea?

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La polemica  tra il Governo Italiano e la Commissione Europea sembra si sia attutita; ma si è trattato e si tratta di una polemica o di qualcos’altro? Una parte della stampa italiana, ligia al nostro provincialismo, ha presentato le richieste del presidente del consiglio italiano e la risposta, piccata, del presidente della Commissione come una sfida. In verità molti dei problemi sollevati dal governo italiano (da tempo) coincidono con quanto sostenuto dallo stesso Juncker in varie occasioni.  Si tratta di argomenti su cui c’è poco da polemizzare, viste le conseguenze  drammatiche provocate  dalle politiche sbagliate  messe in atto dalla CE (o imposte dalla Germania?) durante la crisi e  sulle quali ancora si insiste, nonostante sia stato dimostrato il loro fallimento Sembra che molti, in casa nostra ,compreso  i giornali, lo abbiano già dimenticato,  risucchiati, come sempre, dalla nostra solita guerra tra guelfi e ghibellini, con grande pace degli altri paesi europei, Commissione compresa. Gli stessi giornali che oggi gridano allo “scandalo” suggerivano, fino a pochi mesi fa, che a Bruxelles occorreva “battere i pugni”, minacciando di non versare la nostra quota al bilancio comunitario, qualora le nostre ragioni non avessero trovato ascolto.

Purtroppo, quello che molti non sanno, o fingono di non sapere, è che nel Consiglio (tornato a essere l’unico organismo decisionale della UE) ormai, non c’è più discussione e le decisioni vengono quasi sempre prese a senso unico, sulla base delle proposte tedesche, in particolare per le materie che hanno una valenza economica (vi risparmio l’elenco, piuttosto lungo). Quasi sempre ci sono due pesi e due misure, a seconda dei paesi interessati ai problemi (non c’è esempio più chiaro di quello riguardante l’emigrazione; pensate alla differenza di trattamento tra quella del Mediterraneo e quella dei Balcani!). Inoltre, con una situazione sempre più deteriorata a causa dell’insorgere di nuove emergenze (immigrati, rifugiati, terrorismo islamico), le questioni economiche della crisi sono state relegate in second’ordine, insieme, cosa molto più grave, alla vera questione sul tappeto,  fatta esplodere dalla crisi:  i vuoti lasciati aperti a Maastricht e la necessità di porvi rimedio,  completando l’UEM, a cominciare  dalla sua dimensione politica e democratica, vero “nodo scorsoio” di tutto.

Purtroppo, questo problema centrale sembra stia a cuore solo all’Italia, unico paese ad aver elaborato, sinora, una “tabella di marcia” per rimettere in moto il processo di integrazione tra un nucleo di paesi che ne condividono  le finalità ed arrivare ad un risultato concreto in tempi brevi, possibilmente non “biblici”. Una iniziativa che vede impegnato il governo, il parlamento e la società civile nel suo insieme. Uno sforzo, attraverso la tessitura di alleanze con altri paesi dell’Unione, dove la diplomazia non guasta, capace di ridare  una speranza, e non solo, alle persone. L’unica via che abbiamo se non vogliamo che tutto precipiti. Va in questa direzione l’incontro dei sei paesi fondatori  promosso dal nostro governo italiano.

Il quadro però è deprimente; in Europa prevalgono gli egoismi e le paure, quanto invece bisognerebbe agire insieme per risolvere i problemi che li/e generano. Per cui più che fare le pulci al nostro presidente del Consiglio (…perché non è stato diplomatico? Andate a dirlo  a chi ha perso il lavoro, a chi ha perso l’impresa  od ai milioni di giovani che il lavoro non l’hanno mai avuto e non lo trovano) bisognerebbe  fare proposte e lavorare all’unisono. Certo non serve a molto, nei consessi europei o internazionali, proclamare  che “l’Italia è tornata”; piuttosto bisogna dimostrarlo in silenzio, con le azioni, come in parte sta già avvenendo. Per riuscirvi meglio, però, servirebbe l’impegno di tutti, servirebbe  agire come “sistema paese”, al di là delle differenze politiche, pensando a chi ha sofferto e soffre la crisi, ai disoccupati, agli immigrati, a coloro  che hanno paura degli attentati del terrorismo islamico, mentre invece  molti politici  vi speculano su, trattando il tutto con fare provinciale, come fosse un derby. Occorre invece  pensare al futuro dell’Italia e  dell’Europa, mai a rischio come ora. Dal ’22 (1921/22),dal ’45 o dall’89, è già passato tantissimo tempo.  Serve ancora dell’altro? Per quest’Italia sembra che il tempo giusto per agire insieme non arrivi mai, come per l’Europa. Solo che il tempo è già scaduto.

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