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Che cosa succederà ai tassi dopo la mossa Fed

Vi sono motivi ancora più solidi rispetto a tre mesi fa per ritenere che l’espansione dei paesi avanzati sarà sostenuta soprattutto dalla domanda interna.  I tassi reali di interesse risulteranno, a nostro avviso, complessivamente in calo, nonostante il modesto rialzo dei tassi ufficiali atteso negli Stati Uniti, e l’accomodamento monetario continuerà ad essere amplificato dall’espansione del bilancio delle Banche centrali nell’Eurozona e in Giappone. Inoltre, il movimento del cambio effettivo è talora sinergico all’allentamento della politica monetaria (così, per esempio, nell’Eurozona e in Cina) o alla sua restrizione (Stati Uniti). Soltanto fra i paesi emergenti osserviamo una drastica restrizione della politica monetaria orientata alla stabilizzazione del cambio. Le politiche fiscali non saranno oggetto di alcuna restrizione, considerando l’effetto positivo sul saldo primario che si dovrebbe verificare grazie all’espansione economica.

Inoltre, la revisione delle stime sul prezzo del petrolio implica che nel 2016 potrebbe manifestarsi un’ulteriore liberazione di potere d’acquisto nel settore delle famiglie, con effetti sulla spesa finale resi più probabili dal clima di fiducia positivo che prevale negli Stati Uniti e in Europa e da una fine di autunno e un inizio inverno particolarmente miti nell’emisfero settentrionale. Tuttavia, l’effetto del ribasso petrolifero sarà decisamente meno positivo rispetto al 2015. In primo luogo, il calo della materia prima si trasmette sempre meno al prezzo finale con il procedere dei ribassi, in quanto aumenta la parte incomprimibile del prezzo legata alle imposte. Secondariamente, diventa più rilevante l’impatto negativo che scaturisce dal peggioramento delle condizioni economiche nei paesi produttori, che dal quarto trimestre 2014 in poi hanno iniziato a tagliare drasticamente le loro importazioni (-16,8% a/a nel 2° trimestre 2015), e dal maggiore rischio di instabilità finanziaria e politica in tali paesi.

Una questione aperta è se la ripresa dei consumi sarà accompagnata da una significativa accelerazione degli investimenti. La crisi delle materie prime deprimerà la spesa in conto capitale nel comparto estrattivo, ma soltanto in pochi paesi tale settore può determinare le tendenze aggregate. Il contesto di moderata espansione economica, minore incertezza e condizioni finanziarie accomodanti sembra spingere per un contributo della spesa in conto capitale stabile o in aumento nel biennio 2016-17: stabile negli Stati Uniti, dove già si colloca allo 0,8% circa del PIL, e in Giappone; in aumento nell’Eurozona, dove potrebbe salire dallo 0,4 allo 0,8% nel 2016. Nel complesso, le previsioni di crescita per il 2016 sono poco mutate rispetto a settembre e sono sostanzialmente allineate alla media del consenso.

La crescita mondiale è prevista in marginale accelerazione dal 3,0 al 3,3%, risultante da un 2,2% per i paesi avanzati e un 4,2% per i paesi emergenti. Una revisione al ribasso ha interessato gli Stati Uniti (da 2,9 a 2,6%) e marginalmente il Giappone (da 1,3 a 1,2%), mentre la proiezione per l’Eurozona è invariata a 1,7%. In effetti, i dati sono stati tendenzialmente meglio delle previsioni in Europa e inferiori alle attese negli Stati Uniti. Le stime di inflazione hanno subìto una limatura, effetto dell’ulteriore ridimensionamento delle previsioni sul prezzo del petrolio, ma ciò non ha inciso sulla direzione: con la stabilizzazione del prezzo del petrolio l’inflazione media dei paesi avanzati dovrebbe risalire da 0,2% a 1,0% in media annua. L’incremento dei prezzi sarà relativamente più forte negli Stati Uniti (1,7%), mentre dovrebbe restare inferiore all’1% nell’Eurozona e in Giappone. Il rialzo dei tassi ufficiali americani di fine dicembre era da settimane incorporato con probabilità elevata nelle valutazioni dei mercati, così come un’ulteriore blanda restrizione dei tassi ufficiali nel corso del 2016 (altri 50pb circa). Anche se le aspettative arrivassero a incorporare un rialzo in più, difficilmente ciò potrebbe qualificarsi come un “rischio” significativo per lo scenario globale; d’altronde, è probabile che la Federal Reserve cerchi nei prossimi mesi di limitare le conseguenze di mercato degli interventi sui tassi ufficiali, ad esempio segnalando che le previsioni interne sull’evoluzione futura dei tassi ufficiali sono calate rispetto alle precedenti riunioni.

D’altronde, gli investitori hanno ormai superato la fase del ritiro generalizzato dai mercati a rischio, e cominciano a differenziare molto di più fra paese e paese. Da settembre, i movimenti di portafoglio verso i paesi emergenti sono stati meno sfavorevoli, con il ritorno di ottobre in parte bilanciato dai deflussi modesti di settembre e novembre. In novembre il quadro è stato molto diversificato, con flussi netti positivi verso l’America Latina e negativi verso le altre aree. Anche sui mercati valutari, riteniamo che la parte di gran lunga prevalente dell’aggiustamento si sia già verificata fra il 2014 e il 2015.

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