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Vi spiego cosa accade davvero in Tunisia. Parla Imen Ben Mohamed

I media occidentali si sono già sbizzarriti nel parallelo: Ridha Yahyaoui, il disoccupato 28enne che il 16 gennaio è morto a Kasserine, nell’entroterra tunisino, folgorato dopo essere salito per protesta su un traliccio della corrente elettrica, come Mohammed Bouazizi, il ragazzo che nel dicembre 2010, con la sua auto-immolazione, innescò la protesta che da Sidi Bouzid – altra città dell’entroterra – si diffuse in tutto il Paese, portando alla fuga del dittatore Ben Ali ed avviando la cosiddetta “primavera araba”. Ora la Tunisia, unica storia di successo nella regione, modello di convivenza governativa tra laici ed islamisti, affronta una fase difficile, perché l’economia non si è mai risollevata e la disoccupazione resta quella dell’era Ben Ali, soprattutto tra i giovani e nelle regioni interne. Insomma, la libertà c’è, ma il pane manca. Così da Kasserine è partita una nuova protesta, che si è diffusa a macchia d’olio in tutto il Paese: barricate, saccheggi, assalti a stazioni di polizia. Il governo ha reagito arrestando molti responsabili delle violenze ed imponendo il coprifuoco notturno. Il presidente Béji Caïd Essebsi, però, ha espresso comprensione verso i manifestanti pacifici (“la contestazione è naturale, non c’è dignità senza lavoro”).

CHE COSA PENSA IMEN BEN MOHAMED

“Sarà un’altra rivoluzione?”, si chiede, preoccupato, l’Occidente, tanto più che la Tunisia fornisce allo Stato Islamico il gruppo più numeroso di foreign fighter – 6000, secondo l’ultimo rapporto del Soufan Group – e confina con quella Libia in cui il Califfato, approfittando del caos politico, si allarga giorno dopo giorno. Imen Ben Mohamed, deputata del partito islamista Ennahda (nella foto con Samantha Cristoforetti), invita a rifuggire dai sensazionalismi conversando con Formiche.net: “La calma è stata ristabilita, anche a Kasserine. La protesta è partita in modo spontaneo, ad opera di giovani disoccupati che volevano essere integrati nel mercato del lavoro, ed è nata nelle zone interne della Tunisia, dove la situazione economico-sociale è molto difficile. Il modello di sviluppo sotto la dittatura di Ben Ali ha creato grandi differenze regionali, l’entroterra è sempre stato povero e nei cinque anni successivi alla rivoluzione non è cambiato nulla. Dopo la morte di Yahyaoui, però, la protesta è stata strumentalizzata da altri gruppi. Ci sono stati atti di vandalismo, compiuti da bande di criminali, di contrabbandieri, e ci sono state violenze contro le istituzioni. Alcune opposizioni – non tutte – ne hanno approfittato per accusare il governo, quando questi atti si sono diffusi in tutto il Paese. Il coprifuoco è stato una misura necessaria, anche per prevenire le infiltrazioni di gruppi terroristici, che utilizzano situazioni di caos per colpire lo Stato. La rivoluzione tunisina comporta un processo di cambiamento che non è semplice. Confiniamo con la Libia, per cui la paura di infiltrazioni esiste. Ma al momento non abbiamo indicazioni che tra gli arrestati ci siano affiliati allo Stato Islamico. Si tratta di semplici vandali”.

I PARTITI E IL GOVERNO

Imen Ben Mohamed, come detto, è una parlamentare di Ennahda, il partito islamista che ha vinto nettamente le prime elezioni libere, nel 2011, e ha governato in coalizione con altre forze politiche. Ci sono state tensioni tra laici ed islamisti, soprattutto dopo l’uccisione di due politici di sinistra, nel 2013. Fortunatamente quella tensione è stata messa da parte e il processo di costruzione della democrazia è stato inclusivo. Ennahda e Nidaa Tounes, grande aggregazione laica nata nel 2012, hanno votato assieme la nuova Costituzione. Nelle elezioni del 2014 Nidaa è risultato il primo partito e, successivamente, il suo leader, Essebsi, ha vinto le elezioni presidenziali. Laici ed islamisti fanno parte della maggioranza di governo ed è necessario che questo processo si rafforzi. “La Tunisia”, racconta Imen, “ha compiuto un grande processo di transizione politica verso la democrazia, ma quella economica è ancora in divenire. L’alleanza tra le due grandi famiglie, laici ed islamisti, ha consentito l’approvazione di una Costituzione votata a larghissima maggioranza, e con una grande partecipazione di tutti. I partiti, però, sono stati creati dopo la rivoluzione, durante la transizione. L’unica grande forza storica è proprio Ennahda, che è nata sotto la dittatura ed ha festeggiato i 34 anni di attività”.

LO SCENARIO POLITICO

Recentemente c’è stata una scissione all’interno di Nidaa Tounes, un gruppo di deputati ha lasciato il partito (ma non l’appoggio al governo). Spiega Ben Mohamed: “Nidaa è una forza piuttosto grande, ma è nata solo nel 2012. Essebsi è stato eletto alla presidenza della Repubblica, per cui ha dovuto lasciare il proprio ruolo all’interno del partito. Nidaa ha tante anime diverse, perché è stato creato non su basi ideologiche, ma in antitesi ad Ennahda. La crisi al suo interno è quindi normale, fisiologica. Per questo motivo è importante la nostra presenza all’interno del governo di coalizione, perché siamo una forza compatta e possiamo garantire stabilità all’esecutivo. Abbiamo appena votato un rimpasto e su queste basi vogliamo guardare avanti. Dobbiamo creare le condizioni per una maggiore sicurezza e fornire alla Tunisia un nuovo modello di sviluppo, diverso da quello che, sotto Ben Ali, ha creato così tanti squilibri sociali”.

I PROBLEMI ECONOMICI

Il focus di Ennahda, dice Imen, è l’economia: “Abbiamo bisogno di riforme economiche, soprattutto di una maggiore apertura ai privati. Il settore pubblico, infatti, non può più dare molto. Dobbiamo favorire gli investimenti, soprattutto nelle zone interne, in modo da creare posti di lavoro. Abbiamo proposto aiuti fiscali per i privati che assumono giovani: sarà cruciale il nuovo codice degli investimenti, per favorire i capitali, soprattutto esteri. Dobbiamo aprire la nostra economia. Possiamo offrire grandi opportunità agli investitori nel campo delle energie rinnovabili, nell’agricoltura e nell’industria manifatturiera, come quella tessile. Abbiamo una manodopera qualificata anche nel settore dei macchinari industriali. Quello che manca è il capitale”.

CHE COSA CI SI ASPETTA DALL’OCCIDENTE

Probabilmente la Tunisia, dopo la rivoluzione, si aspettava più sostegno dall’Occidente. “La prudenza dei privati”, sostiene la deputata di Ennahda, “è stata più comprensibile, all’inizio c’era un rischio derivato dall’instabile transizione politica. Adesso questa fase è passata, tant’è che abbiamo avuto un aumento degli investimenti esteri e siamo riusciti a far rimanere in Tunisia chi c’era già. Quanto agli Stati, ci aspettiamo di più, vogliamo che venga fatto un investimento politico, economico, sociale e culturale nella nuova Tunisia. Sappiamo che la situazione economica dell’Europa è difficile, ma abbiamo bisogno di voi. Stiamo lavorando a una partnership privilegiata con la Ue, focalizzandoci su alcuni settori. Da Bruxelles è arrivato un piano di sostegno di 700 milioni, ma si tratta di denaro versato progressivamente, di offerte mirate per singoli progetti. Abbiamo avuto il sostegno di alcuni Paesi occidentali, soprattutto di Italia, Francia e Stati Uniti, oltre che dell’Algeria. Adesso Hollande ha promesso un miliardo di euro di aiuti nei prossimi cinque anni”.

I RAPPORTI CON L’ITALIA

Oltre alla Francia, l’Italia è in prima linea nei rapporti con la Tunisia. La prima visita di Matteo Renzi da presidente del Consiglio è stata proprio a Tunisi. “Abbiamo apprezzato molto quel gesto” dice Imen, “e anche dopo l’attacco terroristico al Museo del Bardo la risposta delle istituzioni italiane è stata importante. La delegazione comprendeva il presidente del Consiglio e quella della Camera. Poi è venuto anche il presidente della Repubblica. Il 28 gennaio verrà firmato un protocollo di collaborazione tra i due Parlamenti. L’Italia è il nostro secondo partner politico ed economico. Da Roma abbiamo ottenuto la cancellazione del debito, per circa 25 milioni di euro. Gli investitori privati sono aumentati da 700 a 800. E non c’è solo l’economia. Sul piano militare abbiamo avuto un sostegno logistico, materiale, formativo. Le vostre operazioni di controllo nel Mediterraneo sono state utili. Potete aiutarci in tanti modo, anche investendo sulla cultura, ad esempio”.

IL FATTORE RELIGIOSO

“Siamo una forza di ispirazione religiosa, simile a quella che da voi era la Democrazia Cristiana”, sottolinea Ben Mohamed, “ma il problema della Tunisia non è la religione. Non vogliamo cadere in questo tipo di conflitti, che sono più difficili da risolvere di quelli politici. Siamo un popolo omogeneo, a grande maggioranza sunnita, abbiamo sempre avuto buoni rapporti con gli ebrei. I nostri problemi sono l’economia, la sicurezza, il rafforzamento della democrazia, non il ruolo della religione”.

LA QUESTIONE ISIS

Il gruppo più numeroso di foreign fighter dell’Isis, però, viene proprio dalla Tunisia. “Alla radice c’è sempre una questione di tipo economico”, spiega Imen. “L’attrattività dello Stato Islamico è figlia dei problemi sociali, di un modello di sviluppo che crea emarginazione. I giovani che si uniscono all’Isis non lo fanno per una motivazione di tipo religioso, perché la nostra cultura diffusa non è estremista. Lo fanno per trovare un’alternativa al disagio economico. Non a caso i militanti vengono in grandissima parte dalle regioni meno privilegiate. Quindi se vogliamo affrontare il terrorismo in Tunisia dobbiamo investire nell’economia, e anche nella cultura, per sfidare il lavaggio del cervello dei predicatori fondamentalisti”.

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