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Quanto boldrineggia la Boldrini?

Laura Boldrini e Nichi Vendola

C’è qualcosa di peggio dell’orribile fine del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni, seviziato e infine ucciso al Cairo in un’operazione che sa tanto di polizia o servizi segreti. È l’uso politico e mediatico che se n’è subito fatto in Italia, dove è stato processato e condannato nei salotti televisivi e dintorni con il solito rito sommario il presidente egiziano Al-Sisi in persona. Che, essendo peraltro un generale, è doppiamente sospettabile, anzi colpevole delle maggiori nefandezze. Anche di avere magari ordinato la soppressione del giovane, colpevole a sua volta di avere scoperto, intuito e denunciato lo scempio da lui fatto della democrazia nel suo Paese col pretesto della lotta al terrorismo.

Purtroppo il terrorismo in Egitto e altrove, in particolare quello islamista, targato Isis, non è una invenzione di Al-Sisi. E spiace che anche il povero Regeni lo abbia declassato a “giustificazione” in un articolo sui sindacati mandato al Manifesto con preghiera di pubblicarlo con uno pseudonimo, nel timore evidentemente di rappresaglie. Un articolo trattenuto per un po’ nella redazione del giornale romano, fatto perciò diffondere da lui sul sito Niena-news.it una ventina di giorni fa con la firma di Antonio Drius e infine pubblicato, dopo la morte, dal quotidiano orgogliosamente comunista diretto da Norma Rangeri. Che vi ha opposto la firma vera dell’autore, considerando purtroppo superata dai fatti ogni ragione di cautela. Ma decidendo anche di non tenere conto di una diffida “affrettata” della famiglia del giovane, spiegata ad un giornalista del Corriere della Sera con la delusione del povero Giulio, confidata in particolare alla madre, Paola Deffendi, per il trattamento riservatogli dal giornale italiano che pure gli stava a cuore per quel ruolo che la direttrice definisce “di “frontiera”.

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Sono cose, queste della sottovalutazione di una collaborazione o dei ritardi in una direzione o redazione di giornale, che possono capitare, per carità. E capitano. Ma senza volersi impancare a giudici, si potrà ben avere il diritto di dissentire dalla scelta del Manifesto di non tenere conto della volontà dei familiari della vittima dell’orrendo delitto al Cairo e di pubblicare quell’articolo in tempi e modalità che, al di là delle stesse intenzioni e scelte professionali del giornale, può essere stato scambiato dai familiari della vittima per un trofeo opportunistico.

 

Ma più ancora dell’errore di stile del Manifesto, se è stato davvero un errore, e se non è invece un errore, magari, questa mia valutazione, colpisce la strumentalizzazione che si è subito cercato di fare in sede politica della vicenda del ricercatore italiano.

Di colpo i rapporti di amicizia politica e di collaborazione economica dell’Italia con l’Egitto sono diventati una colpa. Quelli, poi, personali del presidente del Consiglio con Al-Sisi una circostanza aggravante. Poco è mancato che, di fronte alle prime e contraddittorie versioni dell’accaduto date dalle autorità inquirenti e di polizia egiziane, si reclamasse non solo, e giustamente, la verità e la conseguente ricerca delle responsabilità del delitto di Regeni, ma anche la rottura delle relazioni diplomatiche, e magari pure un’incursione aerea di rappresaglia sul Cairo.

All’arrivo delle prime notizie sulle indagini egiziane, supportate anche da funzionari italiani, si sono sprecate le dichiarazioni contro la presunta intenzione della polizia, e magari di al-Sisi in persona, di cavarsela con la ricerca del solito “capro espiatorio”. A una storiaccia se ne vuole insomma aggiungere un’altra, questa volta di conio italiano.

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Purtroppo, ospite del salotto televisivo di turno, ha partecipato al processo contro l’uso pretestuoso della lotta al terrorismo per fare scempio della democrazia in paesi come l’Egitto anche la presidente della Camera italiana Laura Boldrini. Che è ormai presente dappertutto, orgogliosa di esprimere le sue opinioni, per niente trattenuta dal timore di deludere o indispettire parlamentari e gruppi che vorrebbero sentirsi rappresentare meglio da lei come presidente dell’assemblea di Montecitorio. E meno male che la riforma costituzionale è ancora un disegno di legge in attesa di approvazione finale e di referendum confermativo. Sennò la presidente della Camera sarebbe anche virtuale vice presidente della Repubblica, toccandole il ruolo di supplenza oggi conferito al presidente del Senato.

L’esposizione di Laura Boldrini è diventata tale da invogliare persino Eugenio Scalfari ad una lunga intervista su quella che lei stessa ha definito “Eutopia”, cioè l’utopia, condivisa appunto con Scalfari, dell’Europa federale sognata a Ventotene da Altiero Spinelli. E oggi insidiata da una crisi durissima.

 

Mi chiedo con ingenua malizia – scusate l’ossimoro – a quale vetta possa o voglia aspirare la Boldrini partendo da quella già così alta procuratale all’esordio parlamentare, tre anni fa, da quel genio generoso che si riteneva l’allora segretario del Pd e inutilmente aspirante presidente del Consiglio Pier Luigi Bersani. Dio li fa e poi li accoppia, dice un vecchio e abusato proverbio.

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