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Perché non è una carnevalata la mossa di Grillo sul ddl Cirinnà

Beppe Grillo, M5S

E’ bastato che Beppe Grillo, pur restituitosi alla sua vocazione e professione di comico tornando nei teatri, compisse per la prima volta nella sua collaterale attività politica un gesto ordinario di democrazia, riconoscendo dalla sua postazione elettronica libertà di voto ai senatori del suo movimento pentastellato sull’incandescente problema delle coppie omosessuali, e del diritto da loro rivendicato di adottare figli, visto che in natura non ne possono fare, perché si scatenasse contro di lui l’iradiddio. Si è visto accusato, poveretto, di siluro, sgambetto, dietrofront, conversione, giravolta ed altro ancora. E ciò sia da sinistra sia da destra.

Grillo è diventato una specie di controfigura, per fortuna al rovescio, del generale e presidente egiziano al-Sisi, assurto al vertice delle cronache italiane per la drammatica e odiosa vicenda del giovane ricercatore friuliano Giulio Regeni, sequestrato, torturato, ucciso e scaricato come una bestia su un campo da poliziotti o agenti segreti che si spera vengano naturalmente assicurati alla giustizia e puniti con pena esemplare, fosse pure – consentitemi – l’impiccagione. Che del resto è di casa da quelle parti, dove i dissidenti rischiano quotidianamente la fine del povero Regeni, la cui colpa era proprio quella di frequentarli e di raccoglierne le esperienze per la sua attività di studioso, e per gli approcci al giornalismo.

Il generale al-Sisi ha potuto sommare in questi giorni sulla stampa italiana l’odio del terrorismo islamista, che combatte come pochi in quell’area ribollente del mondo arabo dove le primavere sono diventate rapidamente inverni, con la superficialità dei soliti tromboni del moralismo italico. Che lo hanno subito processato e condannato come il diretto responsabile della fine orribile di Regeni: quello che ne ha magari ordinato la morte, o si è messo subito a brigare per coprirne i responsabili, essendo connaturata in lui l’assonanza fra dissenso e delinquenza, per cui vanno combattuti e repressi insieme.

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Lo so bene. Il paragone, sia pure rovesciato, fra Grillo e al-Sisi è un’enormità. E’ un paradosso prodotto però dalla superficialità e dalle esagerazioni con le quali si raccontano e si commentano ormai abitualmente in Italia le vicende politiche. A leggere e a sentire le quali Grillo e al-Sisi sono inaccettabilmente responsabili l’uno di liberare il dissenso e l’altro di imprigionarlo e ucciderlo.

Il dissenso avvertito e liberato da Grillo fra i suoi simpatizzanti, militanti, elettori e parlamentari sulla disciplina delle cosiddette unioni civili, e adozioni connesse, è entrato in rovinosa e inattesa rotta di collisione con l’interesse politico di chi vuole la legge che porta il nome della senatrice piddina Monica Cirinnà. E per portarla a casa, contro il dissenso e le resistenze interne allo stesso Pd e da parte degli alleati di governo provenienti dal centrodestra, aveva scommesso proprio sulla sponda pentastellata. Che Grillo ha improvvisamente compromessa, se non rimossa, con uno scatto che dalle parti della Cirinnà, temendo di fare la fine di Cirinnà, debbono avere avvertito come una stupefacente concessione alla stagione ormai declinante di Carnevale. O come la partecipazione, magari, ad un complotto politico contro il presidente del Consiglio Matteo Renzi, finalmente deciso a compiere, con la legge sulle unioni civili e annesse adozioni, qualcosa “di sinistra” dopo tutte quelle “di destra” fatte sul fronte sindacale, fiscale e infine europeo.

E’ infatti considerato di destra anche il piglio, non a caso definito “nazionalistico”, di Renzi nei rapporti con la Commissione di Bruxelles e i referenti di Berlino. Un piglio che Eugenio Scalfari è appena tornato a rimproverargli nell’abituale appuntamento domenicale con i lettori della sua Repubblica di carta, confortato dall’europeismo da lui appena scoperto nella presidente della Camera Laura Boldrini e segnalato per telefono all’amico Mario Draghi. Che per ora è solo il presidente della Banca Centrale Europea, a Francoforte, ma Scalfari e forse anche la Boldrini vedrebbero meglio come ministro del Tesoro della cosiddetta eurozona, addirittura con l’immaginario, molto immaginario, appoggio della cancelliera tedesca Angela Merkel e del suo ministro delle Finanze. Che notoriamente al solo sentir parlare di Draghi si irrigidisce sulla sua sedia a rotelle.

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Compatibile con la stagione declinante del Carnevale è anche l’occasione del siluro, sgambetto ed altro di Grillo colta al volo da quel che è rimasto del centrodestra, e del maggiore giornale di riferimento diretto da Alessandro Sallusti, per attaccare indovinate chi? Angelino Alfano, colpevole di non avere già provocato la crisi di governo sul tema delle unioni civili e di essere oggi costretto, per la sua ignavia politica, a sperare nell’aiuto dei grillini per raggiungere un obbiettivo – l’affondamento della Cirinnà – che da solo non sarebbe stato capace di conseguire.

Si continua insomma a chiedere ad Alfano dalla destra combattiva dei vari Renato Brunetta ciò che ai tempi delle leggi sul divorzio e sull’aborto non fu possibile neppure alla Dc. Che era il partito di maggioranza, sia pure relativa, disponeva insieme del Quirinale e di Palazzo Chigi, e di “cavalli di razza”, come li definiva Carlo Donat-Cattin, che si chiamavano, in ordine rigorosamente alfabetico del cognome, Amintore Fanfani e Aldo Moro.

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