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Come gongola Alfano per il ddl Cirinnà limato

Bastava vedere le facce e sentire le parole, o i borbottii, dei senatori di quel che resta della minoranza di sinistra del Partito Democratico, dopo l’assemblea del gruppo svoltasi a Palazzo Madama con la partecipazione di Matteo Renzi, per capire chi stia davvero vincendo la rovente partita della legge Cirinnà sulle unioni civili e sulle aspirazioni genitoriali delle coppie omosessuali.

Bastava sentire, in particolare, lo storico Miguel Gotor, portato tre anni fa al Senato, col sistema delle liste bloccate, non tanto dal prestigio meritatissimo di studioso quanto dalla stima e dall’amicizia dell’allora segretario del Pd Pier Luigi Bersani. “È un errore consegnarci mani e piedi a Ncd”, ha detto Gotor parlando del partito del ministro dell’Interno Angelino Alfano, al quale si era appena concessa, su proposta del presidente del Consiglio, l’amputazione della parte più controversa del provvedimento, riguardante soprattutto le adozioni. Un’amputazione reclamata appunto da Alfano, sin dalle prime battute della vicenda parlamentare, e affidata a un emendamento sul quale Renzi in persona e il governo hanno talmente messo la faccia da porre la fiducia. Ci sarà il no di qualche irriducibile, ampiamente compensato però da vecchi e nuovi soci o simpatizzanti della maggioranza, come Denis Verdini e gli ultimi fuoriusciti dalla Forza Italia di Silvio Berlusconi.

Di adozioni e altro riguardante le coppie omosessuali si occuperà un altro disegno di legge, non promosso del governo, che si pensava potesse essere preceduto da una sentenza della Corte Costituzionale, dove la questione era approdata di suo per via giudiziaria ma è appena caduta sotto la mannaia della inammissibilità.

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Si sa che, piuttosto che “nelle mani e nei piedi” di Alfano, i compagni di Gotor preferirebbero consegnarsi ai grillini: gli stessi – non smetterò mai di ricordarlo – corteggiati all’inizio di questa legislatura dal povero Bersani perdendo tutto: l’incarico di presidente del Consiglio, la segreteria del partito e persino un po’ di salute, salvandosi fortunatamente per un pelo da un ictus.

La smania di Gotor e compagni di mettersi nelle mani e nei piedi dei grillini era arrivata a tal punto, lungo l’accidentato percorso della legge Cirinnà, da mettere in difficoltà i pentastellati. Sottrattisi all’ultimo momento, per loro fortuna, visti i guai che già hanno dove debbono amministrare e non opporsi, alla stravagante pretesa, sempre di Gotor e compagni,  di partecipare nell’aula del Senato all’allevamento dei canguri. Come vengono chiamati quegli strani espedienti regolamentari che infilano a migliaia nei loro marsupi gli emendamenti scomodi per la maggioranza. Canguri peraltro già adoperati in passato contro gli stessi grillini. Ma che il presidente dell’assemblea Pietro Grasso si è finalmente stancato di sopportare, viste le troppe sofferenze, chiamiamole così, che gli hanno procurato come uomo di legge. E pazienza se il capogruppo del Pd, Luigi Zanda, non ha gradito i tempi del ripensamento del presidente.

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Persino Maurizio Crozza, che tante volte ha riso e fatto ridere, come solo lui sa fare, del ministro Alfano, superando in ironia e sarcasmo persino lo “stupido” affibbiatogli dal leghista Matteo Salvini, oltre al rifiuto di Silvio Berlusconi di riconoscergli il famoso “quid” su cui aveva scommesso nominandolo segretario di quello che si chiamava allora PdL, ha dovuto arrendersi alla realtà e conferire davanti al pubblico de la 7 la palma della vittoria nell’incauta partita delle unioni civili a lui: il per niente “scemo” Alfano. Che non ha avuto bisogno né di minacciare né di compiere l’autorete della crisi di governo, reclamata da destra un giorno si e l’altro pure, per tagliare le unghie politiche alla Cirinnà. E riportarne la legge ad una misura più realistica, cioè più conforme agli umori dell’opinione pubblica e ai rapporti di forza fra i partiti.

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Solo qualche giorno fa, fresco di promozione da sottosegretario a vice ministro dell’Economia, Enrico Zanetti, segretario di quel pochissimo ch’è rimasto di “Scelta Civica”, il partito orgogliosamente fondato e precipitosamente abbandonato per primo da Mario Monti, ha deriso il movimento di Alfano distinguendo tra “il suo presente di parlamentari e posti di governo”, che probabilmente gli invidia, e “il poco futuro” che  evidentemente gli augura.

Questa è una dimostrazione pratica dei danni che sanno procurarsi in Italia da soli, senza l’aiuto degli avversari, quelli che chiamiamo abitualmente moderati. E che sono troppo spesso solo pulci con la tosse.

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