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Perché la revisione del Bail-in deve passare dall’Eba

La revisione del bail-in non ci sarà, bisogna puntare subito sulla Consulta, inutile illudersi: la legge sul bail-in bancario da parte dei clienti non verrà mai cambiata dalle istituzioni europee. O comunque non avverrà in tempo per evitare pericolose derive nel nostro sistema del credito. L’illusione in cui ci si stava cullando dopo l’intervento del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha giustamente invocato una modifica del bail-in, supportato poi dal presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, si schianterà infatti contro la ferrea realtà delle procedure comunitarie. Esiste una«clausola di revisione» per la corposa direttiva europea, che tanto fa discutere in questi mesi in Italia perché stravolge un intero sistema di garanzie del risparmio e potrebbe scattare «entro il 2018»; ma si tratta di una norma procedimentale che è inserita sempre alla fine di ogni atto legislativo dell’Unione Europea. Proprio in quell’articolo 129 infilato alla fine di un tomo di oltre cento pagine c’è però una specifica che va invece tenuta in considerazione.

L’eventuale proposta di revisione della normativa potrà essere avanzata non dai paesi partner dell’euro né dalle autorità di risoluzione delle crisi bancarie (da noi Bankitalia e ministero dell’Economia), ma dall’Eba, l’Autorità bancaria europea addetta alla vigilanza, che, sentite le prime, dovrà predisporre una relazione in merito al recepimento e al funzionamento del meccanismo. Solo l’Eba potrà quindi decidere e suggerire «eventuali modifiche volte a minimizzare le divergenze nazionali» e in particolare su due argomenti: i requisiti minimi patrimoniali, molto attuali oggi che si discute delle modalità individuate per smaltire 200 miliardi di euro di sofferenze attraverso le bad bank (la relazione andrà presentata entro il 31 ottobre 2016, limite pericoloso perché vicino e magari foriero di nuove richieste) e sulla semplificazione e sulle esenzioni per gli enti creditizi (entro il 31 dicembre del 2017, quello che ci interessa). Il rimando alla legge madre europea è utile a capire il da farsi, se si mettono insieme le ultime prese di posizione delle istituzioni di Bruxelles e Francoforte.

Sia la Commissione, in modo netto, che il presidente della Bce, Mario Draghi, in maniera più sfumata, hanno infatti sottolineato l’esigenza di non cambiare le regole in corsa, anche se il numero uno dell’Eurotower ha di nuovo rimarcato la necessità di ottenere un’applicazione «omogenea» del bail-in insieme alla tutela centralizzata dei depositi. Non sono dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano, perché sono dettate dall’asse Berlino-Bruxelles-Francoforte, di solito restii a tornare sui propri passi. Bisognerà quindi scegliere altre strade, magari tortuose ma legittime, per tutelare milioni di risparmiatori italiani: il ricorso in Corte di Giustizia Europea, come suggerito da Mario Monti; ovvero l’impugnazione della legge italiana che ha recepito il bail-in di fronte alla Corte Costituzionale.

Sono già autorevoli i sostenitori di questa ultima ipotesi, da Paolo Savona ad Angelo De Mattia, due grandi esperti di credito. Le argomentazioni di chi sostiene la via del contenzioso giuridico sono semplici. La Consulta potrebbe infatti essere chiamata a valutare la retroattività della norma sul bail-in, alla luce dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità, con espresso riferimento all’articolo 47 della Costituzione («La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito») e dello stesso articolo 42 («La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale»).

Il quesito potrebbe allora essere questo: è lecito aver rivoluzionato un intero sistema di garanzie quando la compartecipazione alle perdite di azionisti e creditori subordinati potrebbe configurarsi anche come espropriazione senza equo indennizzo e non motivata per il soddisfacimento di interessi generali? Il tutto effettuato peraltro in modo retroattivo, colpendo quindi anche investimenti ben precedenti all’entrata in vigore della legge comunitaria il primo gennaio scorso? Qualcuno, a ragione, potrà pensare che sono temi molto tecnici e da costituzionalisti. Ma quando sono in ballo la tutela del risparmio, la solidità delle banche e infine anche l’immagine stessa di un paese che in 14 anni di euro ha sicu- ramente più dato che ricevuto, diventano materia di confronto politico e istituzionale.

(Articolo pubblicato sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi)

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