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Ecco la migliore riforma per le Bcc

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Probabilmente molti non saranno d’accordo, ma l’ennesimo rinvio del decreto di riforma delle Banche di Credito Cooperativo da parte del governo, il quale intende trattare in un unico giorno anche le norme sulla garanzia pubblica per le cartolarizzazioni delle sofferenze, è da interpretare in senso positivo.

Non è facile comprendere i contorni che saranno delineati per una riforma in gestazione da oltre un anno, ma sembra prospettarsi una riforma più soft rispetto a quella enunciata prima di Natale e nella quale verrebbero fissati i principi cardine che il governo intende proporre sulla base delle enunciazioni formulate dal sistema, demandando tutta la regolamentazione specifica alla Banca d’Italia e lasciando un congruo lasso di tempo alle Bcc per adeguarvisi.

Non è chiaro chi è come disciplinerà uno degli aspetti più importanti della riforma, il cosiddetto patto di coesione (parente stretto del patto di dominio), ossia il contratto che disciplina il rapporto tra la capogruppo e le singole Bcc e da cui derivano diritti ed obblighi.

Probabile, invece, che si vada verso la creazione di più gruppi, mentre resterebbe da chiarire quale sarà l’ammontare minimo di patrimonio di ciascuna capogruppo e chi sarà il soggetto deputato a fissare tale limite (governo o Banca d’Italia?).

L’ipotesi di più gruppi appare sempre più probabile anche in riferimento a quanto riportato dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nel corso dell’ultima Giornata Mondiale del Risparmio, il quale affermava che, in mancanza di una condivisione unitaria (che al momento appare solo ipotetica ed auspicabile, ndr.) all’interno della categoria per una holding unica: “maggiore capitalizzazione, più elevati livelli di efficienza e miglioramento del governo societario potrebbero essere conseguiti anche da un contenuto numero di gruppi”.

D’altronde, l’organo di vigilanza sul tema dei gruppi è sempre stato chiaro e coerente sin dallo scorso 12 febbraio quando intervenne a Bolzano presso la Federazione delle cooperative Raiffeisene, successivamente, il 15 ottobre scorso dinanzi alle Commissioni Riunite di Camera e Senato, dove ha affrontato specificatamente anche la questione del limite minimo di ciascun gruppo.

Difficile quindi immaginare che possano essere fissati limiti di patrimonio talmente elevati tali da imporre, di fatto, l’obbligo di costituire una holding unica.

Inoltre, se la strada fosse quella di una holding unica obbligatoria per tutti, ad eccezione delle cooperative bancarie bolzanine, che avrebbero una loro specifica holding, come si giustificherebbe (non solo giuridicamente) tale differenza all’interno della regione del Trentino Alto Adige, composta da due provincie entrambe autonome? E come si giustificherebbe per l’Italia intera? La provincia di Bolzano, seppur autonoma, fa pur sempre parte dell’Italia ed è tenuta a rispettare i principi cardine della costituzione, esattamente come le altre regioni.

Confermato sembrerebbe l’approccio dell’autonomia delle Bcc appartenenti al Gruppo in funzione della solidità che ciascuna avrà dimostrato (risk based approach) e l’obbligo di attribuire la maggioranza del capitale di ciascuna holding alle Banche di Credito Cooperativo (non è escluso che nella fase iniziale l’intero capitale sia posseduto dalle stesse Bcc).
Per contro, non dovrebbe far parte del decreto la determinazione di un capitale minimo per ciascuna Bcc che rischierebbe di violare una norma europea sulla cooperazione. Non è tuttavia da escludere che Bankitalia, per far fronte alle sempre maggiori richieste europee, possa fissare un nuovo limite di capitale applicabile a tutte le banche o un meccanismo per aumentarne, di fatto, il livello minimo.

Molti dubbi, invece, restano circa la sorte delle BCC che non intendono aderire a nessun gruppo e che vorrebbero trasformarsi in società per azioni o banche popolari. Va detto, tuttavia, che al momento sembrerebbe pacificamente ammessa la possibilità di conferire le attività bancarie in una società per azioni (newco) da parte di una Bcc, la quale manterrebbe le proprie riserve indivisibili a patto che modifichi l’oggetto sociale (dopo il conferimento) in modo da prevedere una nuova attività che contempli la mutualità prevalente nei confronti dei soci. Tuttavia, è probabile che la questione della trasformazione delle Bcc assumerà un’importanza minore nel momento in cui non venisse imposta una holding unica, atteso che il numero delle banche interessate a mutare la propria veste giuridica si ridurrebbe drasticamente.

Maggior tempo e più approfondite riflessioni che potrebbero escludere, quanto meno in una fase iniziale, l’ipotesi del gruppo unico (del quale tra l’altro non è mai stato prospettato un benché minimo progetto industriale e bancario) sono da accogliere con estremo favore anche perché evitano di incorrere nei seguenti rischi.

1 – I rischi di incostituzionalità, dei quali si è ampiamente detto e che risultano ben noti all’organo di vigilanza (vds. Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza Bancaria e Finanziaria di Banca d’Italia, nel corso dell’intervento effettuato dinanzi alle Commissioni Riunite di Camera e Senato il 15 ottobre 2015, proprio in materia di riforma del settore delle Banche di Credito Cooperativo).

2 – I rischi connessi al maggior numero di Bcc che sarebbero indotte ad uscire dal sistema qualora fosse imposta la partecipazione ad un’unica holding.

3 – La holding unica sotto forma di SpA rischierebbe di essere omologata alle altre grandi banche operanti in Italia, con la conseguenza che l’obiettivo della stabilità risulterebbe compromesso se tutti gli operatori finanziari fossero uguali ed operassero secondo gli stessi criteri di rischio.

4 – Un sistema uniforme in cui tutte le Bcc più solide siano costrette a coprire i buchi delle banche più rischiose (in una sorta di calderone unico) potrebbe indebolire oltre modo le stesse Bcc, con il rischio di mettere in difficoltà l’intero sistema del Credito Cooperativo riunito in un’unica holding. Diversamente, in presenza di più gruppi, l’eventuale difficoltà di una holding, che dovesse risultare inefficiente o non in grado di sviluppare meccanismi adeguati di sostegno alle Bcc in difficoltà, potrebbe risolversi con il soccorso delle altre holding.

5 – Il gruppo unico, considerata la dimensione che assumerebbe, sarebbe certamente sottoposto alla vigilanza della BCE, con tutti i rischi annessi e connessi di demandare a Francoforte i controlli di territori con i quali, spesso, la stessa Banca d’Italia locale fa fatica a districarsi.

6 – Il Credito Cooperativo, nonostante alcuni difetti e problemi che attualmente ha, fa certamente gola alle grandi banche d’affari internazionali, notoriamente interessate alla contendibilità dei soggetti bancari, ed un errore della holding unica potrebbe significare la consegna di un’altra parte importante del sistema bancario italiano ai mega-gruppi finanziari internazionali. Basta guardare le vicende borsistiche dei titoli bancari dell’ultimo mese per avere conferma della speculazione in atto e della appetibilità da parte dei soggetti esteri delle banche italiane, mediamente più solide di quelle estere (queste ultime ancora intente a smaltire l’enorme quantità di titoli tossici che hanno accumulato in passato).

7 – Se la riforma si rivelasse autoreferenziale e conservativa, il gruppo unico rischierebbe di aggravare seriamente i problemi di governance di tante Bcc.

8 – Difficilmente la holding unica riuscirebbe a garantire efficienza ed innovazione al gruppo. Dato che al momento questi, insieme alla governance, sono considerati i principali limiti del sistema cooperativo, solo attraverso la concorrenza tra più gruppi si potrebbe sperare nel loro superamento.

In altre parole, è plausibile pensare che la costituzione di almeno due o tre gruppi, posti in concorrenza fra loro e dai quali poter entrare ed uscire senza eccessivi vincoli, oltre a non presentare i rischi indicati, potrà rendere più efficiente ed innovativo l’intero sistema del credito cooperativo, coniugare gli interessi delle Bcc più piccole con quelle aventi maggiore dimensione, migliorare la governance delle stesse banche e stimolare quella delle holding poste in concorrenza tra loro.

Solo se, in una visione ipotetica e al momento assai poco realista, il sistema riuscisse a produrre un progetto industriale e bancario concreto, serio e trasparente di un unico gruppo che riuscisse a coniugare le esigenze delle Bcc piccole e grandi, a garantire efficienza ed innovazione e a fornire certezze in tema di governance, sia delle banche che della holding unica, si potrebbe pensare ad una convergenza verso il gruppo unico, sebbene parte dei rischi elencati sopra resterebbero immutati.

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