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Perché con Spotlight vince anche il giornalismo d’inchiesta

Di Maria Antonietta Calabrò

E sì, è la rivincita del giornalismo, l’Oscar come miglior film a “Il caso Spotlight”. Ma direi del “ vecchio” giornalismo d’inchiesta. Quello che non si basa sui “Big data” o sui “leaks” consegnate in pacchi, scatoloni, o dossier, da più o meno interessate gole profonde. Tutte interne a giochi di potere di cordate interne all’Istituzione (in questo caso la Chiesa di Boston) oggetto dell’inchiesta.

Da questo punto vista “Il caso Spotlight” è un film molto diverso anche da “Tutti gli uomini del Presidente” (anche se lo ricorda ed è in qualche modo ne è come assonante) sulla famosa inchiesta di Bob Woodward e Carl Bernstein sul Washington Post che portò alle dimissioni del Presidente Richard Nixon.

Direi che è la rivincita del giornalismo che racconta quello che è effettivamente sotto gli occhi di tutti. Un giornalismo che parte dalla “decisione” di raccontarlo, presa dall’allora nuovo direttore del Boston Globe, Martin Baron, un outsider a Boston, non solo perché arrivava da fuori, da un’altra città e da un altro giornale, ma anche perché non era cattolico.

Gli strumenti di indagine descritti così bene nel film sono veramente ordinari. Per niente straordinari: interviste con gli abusati, con gli avvocati, ma soprattutto consultazioni delle cosiddette “fonti aperte” (open source), quali lo studio degli Annuari della Chiesa cattolica.

Sì, sembrerà incredibile, ma il salto di qualità dell’inchiesta giunge proprio da uno studio e da un’analisi di quanto di più ufficiale e meno “leak” si possa immaginare: annuari polverosi tenuti in archivio, ma dalla cui consultazione emerse per i giornalisti una “regolarità” statistica, la presenza di quasi novanta preti, sospesi, in malattia o spostati di parrocchia in parrocchia. I preti pedofili che l’allora cardinale della città Bernard Law non rimosse. E per questo dovette “lasciare” gli Stati Uniti, trasferito a Roma nel 2002, mentre il suo successore cardinale Sean O’Malley non solo presiede la nuova Commissione pontificia contro gli abusi sui minori, ma ha venduto molti immobili della Diocesi per far fronte ai risarcimenti delle vittime.

Lo spettatore vedrà anche che i documenti giudiziari che contribuiscono a una prima consistente svolta dell’indagine giornalistica del Boston Globe – sono ottenuti in maniera perfettamente legale: compilando un apposita richiesta, facendo delle fotocopie alla luce del sole.

Ecco da questo punto di vista “Il caso Spotlight” è veramente sorprendente ed inusuale. Indica la necessità di un lavoro costante, indica la necessità di investire tempo e risorse, e correggere errori. È il responsabile del team Spotlight, lo stesso che si rende conto di aver fatto già pubblicare in cronaca un piccolo articolo in cui era contenuta in luce tutta la storia. Ed è lui, un insider, che ottiene la conferma ultima del “sistema” di copertura dello scandalo da un’altro insider, un esponente cattolico di primo piano della città, senza la quale il direttore non avrebbe schiacciato il bottone della pubblicazione.

A questo aggiungerei che il film è la celebrazione del giornalismo in un Paese come gli Stati Uniti, dove i quotidiani non sono solo una stanza di compensazione del sistema.

Naturalmente, il film, dal punto di vista contenutistico è “datato”. L’inchiesta del team “Spotlight”, che nel 2002 vinse il premio Pulitzer, fotografa una situazione che non è più quella della Chiesa americana, che proprio nel 2002 elaborò le sue linee guida per combattere il fenomeno degli abusi e proteggere i bambini. Un buon tratto di strada nel combattere la pedofilia del clero è stata portata avanti da Benedetto XVI. E nuovi casi dall’Australia (dove la Royal Commission sta interrogando da ieri il cardinale George Pell), al Cile, all’Honduras, dovranno essere affrontati.

Ma Martin Baron, oggi direttore del Washington Post, nei giorni scorsi, ha scritto: “Le vere soddisfazioni verranno se il film sarà in grado di avere un vero impatto. Sul giornalismo, seduttore e direttori ricominceranno dedicarsi al giornalismo d’inchiesta. Sui lettori scettici, perché i cittadini saranno spinti a riconoscere la necessità di una seria copertura locale e di forti istituzioni giornalistiche. E su tutti noi, grazie ad un maggiore volontà di ascoltare le persone umili e troppo spesso senza voce”.

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