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Vi racconto il caos del centrodestra

Le dimensioni della crisi identitaria, politica ed elettorale del centrodestra preoccupano anche Matteo Renzi, per quanto egli se ne sia appena vantato al Senato ricordando, in particolare, ai forzisti di Silvio Berlusconi che sono “sempre meno”, e per giunta sempre meno convinti delle iniziative che assumono contro il governo. Tanto da fare privatamente la fila da lui per lamentarsene. E dissociarsi con l’assenza dalle votazioni, come hanno fatto in otto nell’aula di Palazzo Madama evitando di sfilare davanti ai banchi della presidenza per rispondere sì all’appello nominale sulla mozione di sfiducia al governo presentata dal loro gruppo, insieme con i leghisti, per l’affare della Banca Etruria, già vice presieduta dal padre della ministra Maria Elena Boschi, e delle altre salvate con un decreto legge dopo il crac.

Il fatto che uno degli assenti abbia poi spiegato ai giornalisti di avere disertato la votazione perché aveva proprio in quelle ore un appuntamento con Berlusconi, nel non lontano Palazzo Grazioli, ha caricato l’episodio di ulteriore e non positivo significato politico.

Il capogruppo forzista Paolo Romani avrebbe avuto, e avrebbe, tutte le ragioni di lamentarsi dell’agenda dell’ormai ex senatore Berlusconi, ma sempre leader del partito. Un’agenda non coordinata, diciamo così, con gli impegni parlamentari dell’ospite di turno, per cui si sommano l’indifferenza dell’uno e il dissenso dell’altro, o viceversa. Che sarebbe anche peggio.

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Le preoccupazioni di Renzi e amici, al di là del loro apparente compiacimento, per la crisi del centrodestra, o di ciò che ne rimane, si sono avvertite chiaramente leggendo sull’Unità di conio renziano un articolo di Fabrizio Rondolino, già collaboratore di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi e collaboratore, poi, del Giornale della famiglia Berlusconi, prima di tornare a casa, nel quotidiano storico dei comunisti italiani, fondato da Antonio Gramsci.

A preoccupare Rondolino è, in particolare, l’incapacità del centrodestra di trovare candidati unitari e competitivi a sindaci nelle grandi città dove si voterà in primavera, per cui i candidati che anche il Pd fatica a trovare con le sue primarie rischiano di andare al ballottaggio con i grillini. Che, per quanto malmessi pure loro, tra i passi di fianco del loro leader, che si è scoperto troppo comico di vocazione e professione, e i passi falsi degli amministratori locali in carica, potrebbero vincere lo stesso per il combinato disposto del voto di protesta e dell’assenteismo.

Ma questo quadro locale potrebbe riproporsi tale e quale a livello nazionale, quando Renzi si giocherà la partita della vita nelle elezioni politiche, se non l’avrà già perduta, per una clamorosa imprudenza, nel referendum confermativo d’autunno sulla riforma costituzionale.

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Una prova della crisi del centrodestra si trova anche nell’accoglienza ricevuta fra i pur non moltissimi ma pur sempre sensibili lettori del Foglio dal gioco telematico in corso da qualche mese, sostitutivo delle primarie ostinatamente rifiutate da Berlusconi per individuare il suo successore alla guida di una nuova edizione dello schieramento felicemente improvvisato nel 1994 e riproposto ancora nelle ultime elezioni politiche, quelle del 2013. Ma anche nel turno regionale dell’anno scorso.

 

È curioso che in testa alla corsa aperta e gestita dal Foglio si siano collocati la non certo conosciutissima Serena Sileoni, vice direttrice dell’Istituto di studi liberali Bruno Leoni, il meno sconosciuto ma pur sempre periferico sindaco di Perugia Andrea Romizi, che l’anno scorso però fece rischiare al Pd la perdita della regione rossa dell’Umbria, e il vice direttore del Giornale Nicola Porro. Che è anche il conduttore televisivo di Virus, di Rai 2, preferito da Renzi ai salotti televisivi della sinistra trovandovi meno veleno e pregiudizio.

Diversamente da chi lo ha premiato con la posta elettronica, Porro ha preso così poco sul serio se stesso e il centrodestra da avere detto a Marianna Rizzini, in una divertente ma non paradossale intervista, che non si può pensare di sconfiggere Renzi senza avere “il coraggio di dargli ragione”. “Tutta una serie di politiche renziane sono sacrosante, e tu devi dirglielo”, ha insistito procurando probabilmente un travaso di bile a Renato Brunetta, se lo ha letto.

Arresosi infine anche al gioco di immaginarsi a Palazzo Chigi, Porro si è scelto come ministro degli Esteri Berlusconi, che in effetti se ne intende, togliendogli però il diritto di scegliersi a sua volta e a suo modo i sottosegretari. E come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha pescato dal mazzo il tanto discusso Luigi Bisignani. Ma solo per togliersi il gusto di confinarlo in un ufficio sulla Tiburtina, dalle parti peraltro di Rebibbia, dove occuparsi prevalentemente non di nomine ed altre specialità note di Bisignani, ma di trattative sindacali con Susanna Camusso. Da sola, penso, senza l’incontenibile parolaio rosso Maurizio Landini, direbbe Giampaolo Pansa evocando il suo Fausto Bertinotti.

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