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Libia, cosa cambia con il decreto Renzi sui militari 007. Parla il generale Camporini

Il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, l’Aise, potrebbe “dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia”, secondo “una nuova linea di comando… “decisa con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio”.

È quanto scrive il Corriere della Sera, che racconta che “una cinquantina di incursori del Col Moschin dovrebbero partire nelle prossime ore” per il Paese nordafricano, per aggiungersi “alle unità speciali di altri Paesi, Francia, Inghilterra e Stati Uniti, che già da alcune settimane raccolgono informazioni e compiono azioni riservate” nell’ex Regno di Muammar Gheddafi.

Sona alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con il generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa, oggi vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai).

Generale, il Corriere della Sera scrive che “sarà l’Aise, il nostro servizio segreto per la sicurezza esterna, a dirigere le operazioni di unità speciali militari italiane in Libia”. Che cosa ne pensa?

In quella ricostruzione ci sono a mio avviso alcune cose vere e altre poco credibili. Partiamo dalle prime. È vero che – in base a quanto stabilito nel decreto missioni dello scorso anno (e confermato con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri adottato il 10 febbraio, scrive Galluzzo, ndr) – i nostri militari di unità speciali, per missioni speciali decise e coordinate da Palazzo Chigi, avranno le garanzie funzionali degli 007. Fin qui nulla da eccepire, anzi, se proprio l’intelligence deve fare affidamento su forze che provengono al di fuori del proprio perimetro, è bene che queste siano preparate come quelle delle forze speciali. Non è assolutamente vero, invece, che potranno avere licenza di uccidere e impunità per eventuali reati commessi, perché nemmeno i nostri Servizi segreti le hanno.

Ma esiste la possibilità concreta che nostre forze speciali agiscano in Libia nelle prossime ore?

Impossibile dirlo con certezza, anche se mi stupirebbe. I nostri 007 lo fanno da tempo, è vero, ed è un’altra storia. Ma il nostro governo e quelli di altri Paesi sono stati finora categorici, a mio avviso con le giuste prudenza e saggezza: non metteremo scarponi sul terreno in Libia fino a che questa richiesta non arriverà da un legittimo governo nazionale libico.

Che vantaggi e che svantaggi avrebbe questa nuova modalità di azione?

Mi sembrerebbe innanzitutto un cambio di rotta radicale, ma se accadesse credo che ci sarebbero sicuramente ragioni che noi adesso non conosciamo e che in seguito dovranno essere spiegate.

In questo modo non sarebbe necessario un passaggio parlamentare?

A livello tecnico qualsiasi operazione militare fuori da nostri confini che non venga notificata al Parlamento con un’informativa sarebbe non dico illegittima, ma quanto meno scorretta. Detto ciò, se l’ipotesi del Corriere fosse vera, e io ritengo che non lo sia, sarebbe necessaria un’informativa, quanto meno alle Commissioni competenti.

Se l’ipotesi del Corriere della Sera si rivelasse vera, cosa ne penserebbe il mondo militare? Ci sarebbero malumori?

I militari hanno una tradizione consolidata di assoluta aderenza alle direttive ricevute. Non rientra nel loro modus operandi discutere o disapprovare i piani dei governi. L’unica cosa che chiedono è di conoscere esattamente gli obiettivi da perseguire, perché solo così possono essere davvero efficaci. Se si facesse come nei Balcani nel ’95, dove andammo solo per essere presenti e lavarci la coscienza, non gioverebbe a nessuno. In Kosovo ci sono ancora 5mila soldati della Nato, segno evidente che a distanza di oltre vent’anni la situazione è tutt’altro che risolta.

Con il nuovo assetto normativo, in operazioni di questo tipo (che secondo il decreto missioni citato dal Corriere della Sera prevedono “che il capo del governo nelle situazioni di crisi all’estero che richiedono provvedimenti eccezionali ed urgenti «può autorizzare», avvalendosi del Dis, il nostro servizio segreto per l’estero, l’Aise ad avvalersi dei corpi speciali delle nostre Forze armate”) la Difesa avrà un ruolo secondario rispetto alla presidenza del Consiglio?

Da tempo sostengo che è necessaria maggiore chiarezza sulla linea di comando di impiego delle Forze armate. Lo aveva già notato a suo tempo Francesco Cossiga. Sappiamo che nell’attuale struttura del governo italiano il potere del presidente del Consiglio è più informale che altro. Non sono stati rari i casi in cui decisioni assunte in passato nel Consiglio supremo di Difesa siano state poi disattese da singoli ministeri pochi minuti dopo. In questo concordo che serva una linea d’azione chiara.

Gli interventisti sostengono che ormai in Libia non sia più tempo di aspettare e che bisognerebbe agire.

Io penso che ci siano ancora spazi per negoziare. Ad esempio sarebbe utile proporre ai libici anche un Piano B, che preveda una tripartizione del Paese in mancanza del raggiungimento di un accordo. Questo a mio avviso li spronerebbe a muoversi e a trovare un’intesa.

Non potrebbe avere invece l’effetto contrario, ovvero spingere le parti a governare il proprio orticello e gestire così in autonomia i propri affari?

Lo escludo. Anche se sappiamo che talvolta le motivazioni etnico-politiche hanno più presa di quelle finanziarie, credo che nessuno lo voglia. Finora le uniche istituzioni che hanno retto nel Paese sono la Banca nazionale e la National oil company, la compagnia petrolifera nazionale libica, le sole a dividere in modo equanime i proventi del petrolio. Separarsi significherebbe anche dividere queste entità con effetti imprevedibili. I campi ad est, poi, sono di basso profilo.

Questa sarebbe una soluzione auspicata dagli Stati Uniti?

Credo che negli Usa ci sia una tendenza, ormai consolidata, a non immischiarsi nelle questioni regionali degli alleati, intervenendo solo attività di strike quando alcuni interessi specifici sono minacciati. Ci offrono supporto, ma non risolveranno per noi il problema.

E Francia e Regno Unito? Tra gli alleati sembrano di gran lunga i più attivi.

Vero, ma finora – nonostante gli appelli e le ricostruzioni di qualche media schierato come Le Monde Diplomatique – non hanno fatto molto di più di qualche attacco mirato. Credo invece che sia Parigi sia Londra siano in linea con l’idea prudente manifestata finora dal nostro governo anche perché, credo ed auspico, che non vogliano replicare gli errori commessi nel 2011.

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