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Mario Draghi spara le ultime cartucce della Bce

E adesso lo chiamano Magic Mario. Tassi zero, aumento dell’acquisto di titoli da 60 a 80 miliardi di euro al mese, compresi i bond delle aziende, nuova iniezione di liquidità alle banche. Questa volta Mario Draghi non ha deluso i mercati che, infatti, hanno brindato con in testa Milano. Banche (Unicredit, Intesa, Deutsche Bank, soprattutto) e assicurazioni (le Generali) hanno tirato un sospiro di sollievo. Appunto, sollievo. E un sospiro, perché poi le borse hanno raffreddato gli iniziali entusiasmi. Perché non bastano nemmeno una Banca centrale europea coraggiosa e un Draghi che sfida apertamente il dissenso tedesco (la Bundesbank non ha votato, ma tutto il mondo bancario germanico ha rumoreggiato in anticipo) a spezzare il circolo vizioso che imprigiona la zona euro e l’Italia in modo particolare.

Bloomberg ha pubblicato un grafico sull’andamento dell’indice Euro Stoxx 50 dall’aprile dello scorso anno, quando è cominciato il Quantitative easing. Ebbene, le borse sono scese in media del 17% con una volatilità che per molti versi ricorda quella del 2008. Se a questo aggiungiamo che i prezzi sono ancora giù, la deflazione non è stata debellata, mentre la crescita è estremamente fiacca, si sarebbe tentati di concludere che la cura della Bce non è stata efficace. Perché? Perché è cominciata in ritardo ed è stata una cura omeopatica, mentre ci voleva una superaspirina, sostengono i keynesiani. Perché la banca centrale non è in grado di dirigere l’economia reale, anzi ogni volta che ci prova o provoca sfracelli o fa marcia indietro, è la tesi degli ortodossi.

C’è una terza spiegazione: può darsi che Draghi abbia parlato tanto e fatto troppo poco, frenato dalla continua opposizione della Bundesbank, ma la verità è che in questi anni l’unico ad aver agito è stato lui. Il gioco dello scambio, quello che determina la crescita economica, si gioca con più partecipanti: i consumatori, le imprese, le banche, la banca centrale, i governi. Ebbene questi ultimi sono rimasti a guardare; anche chi aveva i bilanci pubblici a posto (come la Germania) non ha fatto tutto il necessario per aumentare la domanda. Le aziende nell’industria e nei servizi non hanno investito a sufficienza. Le banche, bisognose di aumentare i capitali, hanno prestato quattrini con il contagocce.

La Bce continua a fare la sua parte, si spinge senza troppe remore su un territorio non solo inesplorato, ma pericoloso, perché quanto più abbassa i tassi tanto più aggrava i bilanci delle banche. E gli altri, invece di scendere in campo, fanno il tifo dalle tribune pronti a fischiare se non arriva il goal da tutti atteso. Quanto a lungo si può andare avanti così?

Perché la Bce accanto alla buona notizia (la sua politica monetaria ancor più permissiva) ha pubblicato oggi anche una pessima notizia: ha abbassato la stima di crescita per quest’anno dall’1,7 all’1,4 per cento e ha ammesso che potrebbe scendere ancora. Non solo, l’inflazione sarà appena dello 0,1%. Draghi dice che non siamo in deflazione, ma ci siamo vicini. Tutte cifre che hanno riportato le borse al solito tran tran. La zona euro, insomma, è uscita dalla Grande Recessione per entrare in una Lunga Stagnazione. I governi sembrano non preoccuparsi più di tanto, nel frattempo vengono logorati dalla pressione dello scontento e dai proclami dei demagoghi. Eppure esistono oggi tutte le condizioni strutturali per rimettere in moto seriamente l’intera macchina produttiva.

L’iceberg c’è, ma è ancora lontano. Si può evitarlo. Prima però occorre spegnere la musica e interrompere le allegre danze nel salone del Titanic.

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