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Che cosa penso dell’astio di Massimo D’Alema verso Matteo Renzi

Massimo D’Alema ha rilasciato un’ampia intervista al Corriere della Sera, raccolta da Aldo Cazzullo, per dire che il PD, da lui fondato, con altri, non c’è più. Anzi, c’è già il Partito della Nazione, berlusconizzato, e quindi occorre lavorare per ricostruire il centrosinistra, dato che l’attuale governo è tutt’altro. Dal testo, si direbbe che D’Alema non è più nel PD. E lavora per mettere alle corde Renzi e accelerarne la crisi. Dice anche che un altro fondatore, Prodi, è anche lui in conflitto con il PD di Renzi. Vero, ma altri fondatori, invece, critici e non critici, restano nel PD: Veltroni, Reichlin, Fassino, Bersani, Vacca, Cuperlo, tutti ex comunisti, ma anche ex democristiani come Castagnetti e l’attuale ministro della Cultura, Franceschini, che è stato segretario del PD.

D’Alema dice il vero quando afferma che “sta crescendo un enorme malessere alla sinistra del Pd che si traduce in astensionismo, disaffezione, nuove liste, nuovi gruppi.” Dunque, c’è una diaspora e non un movimento in grado di costruire un’alternativa al partito di Renzi. Anche il tentativo, accarezzato da D’Alema, di vedere candidato a Roma l’ex ministro Bray, in contrapposizione a Giachetti, quando già si candida Fassina, conferma che siamo di fronte a una diaspora e che le candidature non servono a fare un sindaco degno di Roma, come dice D’Alema, ma solo a fare perdere Giachetti e soprattutto Renzi. Insomma, una guerriglia, non la guerra.

Infatti, il tema vero è questo. È possibile, è fattibile, trasformare la diaspora in un partito che, come dice D’Alema, dovrebbe ricostruire il PD dei fondatori e il centrosinistra? Sui fondatori ho detto. Chi può oggi assumere la guida di questo processo? D’Alema ha una storia che non voglio qui rileggere, ma non è stato solo il fondatore del PD. È stato anche un personaggio che quando Renzi vinse le primarie e fece fuori Letta (anche lui fondatore del PD) non protestò, non si schierò, non avviò una lotta allora. La lotta per lui cominciò quando Renzi preferì la Mogherini all’ex ministro degli Esteri, nell’incarico europeo per la politica estera. Non è un attacco personale a D’Alema, ma voglio dire che nel PD, non da ora, l’intreccio tra lotta politica e incarichi di governo è stato troppo stretto, ed è difficile capire quando comincia la lotta politica e quando finisce una questione personale. Insomma, ho letto l’intervista di D’Alema con interesse (l’uomo è intelligente), e si potrebbe commentare a lungo. Ma l’ho letta anche come un segno della crisi della sinistra, di cui ancora non si vede lo sbocco. Ho detto “ancora” perché non dispero nel futuro.

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