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Vi racconto i salti carpiati di Debora Serracchiani dalle trivelle

“No al ritorno al nucleare, no alle privatizzazioni delle reti idriche, non alla possibilità che i privati guadagnino nella distribuzione dell’acqua, no al legittimo impedimento. La sinistra ambientalista, moderna, riformista, innovatrice, progressista e non cialtrona muore in quei mesi lì (siamo nella primavera del 2001, ndr)’’. Chi scrive è Claudio Cerasa nel saggio “Le catene della sinistra’’ con riferimento ai quattro referendum svoltisi in quella stagione. L’autore prosegue più avanti: “Quando in nome della famigerata ideologia del bene comune, sceglie la conservazione e lo status quo’’,  soprattutto per quanto riguarda la gestione della rete idrica e della tariffa dell’acqua, la sinistra finisce per aumentare “la percentuale di statalismo presente nel suo Dna progressista’’.

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Cerasa ci ricorda anche quanto affermava, in proposito allora, Debora Serracchiani oggi vice di Matteo Renzi: “Con il referendum sull’acqua è in gioco la difesa del valore della democraticità della gestione di alcuni beni i quali, per la loro essenzialità, non possono essere assoggettati alla pura logica del profitto e il cui accesso va garantito a tutti’’. Vade retro Satana!

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Nessuna recriminazione postuma. Anzi. Ammesso e non concesso che sia confermata lunedì, l’indicazione di astenersi nel referendum NO TRIV (sessista? Visti i manifesti del Sì) consente al Pd di compiere una svolta importante e di avviare un percorso di liberazione e di riscatto da una delle catene che, attraverso una ragnatela di riflessi  pavloviani, ne hanno condizionato la cultura e l’azione politica.

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