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Ecco le vere mire di Putin in Siria

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Putin si è dimostrato in Siria un eccellente stratega, capace di prendere l’iniziativa pur in condizioni di debolezza, e di sorprendere avversari e alleati, obbligandoli a reagire, spesso “alla disperata”, alle sue decisioni imprevedibili e improvvise. Aveva già fornito prova di tali sue capacità nel 2008, in Georgia, e nel 2014, in Ucraina. La sorpresa è l’elemento base della sua strategia. Lo schieramento in Siria di una sessantina di aerei nel settembre 2015 e l’annuncio dell’inizio del loro ritiro, meno di sei mesi dopo, sono mosse di un uomo di Stato che conosce l’utilità e i limiti dell’uso della forza al servizio della sua politica. Le sue rapide decisioni hanno squilibrato il “povero” Obama, erodendone il prestigio internazionale e creando dissapori fra gli USA e i loro alleati, arabi ed europei. A parziale giustificazione del presidente americano, vi è da dire che Putin – che ha il completo sostegno dell’opinione pubblica russa – non ne deve cercare il consenso.

Può prendere decisioni improvvise, motivate solo dall’opportunità strategica. Data la sua posizione dominante nei riguardi dei suoi alleati in Siria – cioè dei governi di Damasco e Teheran e dell’Hezbollah libanese – Putin non ne è condizionato. Sembra che non li abbia neppure preavvisati. Mentre i regimi autoritari possono ricorrere a stratagemmi improvvisi, quelli democratici sono obbligati a una maggiore cautela, se non altro per essere sicuri dell’appoggio dei loro popoli. Sono quindi più portati a temporeggiare e a reagire, che a prendere l’iniziativa. La rapidità decisionale è un moltiplicatore di potenza. Ha consentito a Putin di guidare il “gioco” in Medio Oriente.

Gli analisti, colti di sorpresa dalle mosse di Putin, s’interrogano su quali siano gli obiettivi da lui perseguiti. La teoria strategica è d’aiuto per comprendere la sua logica politica e la sua strategia militare. Il tempo in cui una sorpresa può esprimere i suoi effetti positivi è sempre limitato. Occorre perciò tradurre quanto prima possibile in politici i successi che ha consentito in campo militare, oppure ricorrere a nuove sorprese, che non consentano agli avversari di trasformare i blitzkrieg della sorpresa in manovre di logoramento, nelle quali vale la potenza disponibile .

Nel caso siriano, gli obiettivi di Mosca sono diversi. L’intervento le ha consentito di salvare Assad. L’annuncio del ritiro le ha permesso di non rimanere invischiata nel ginepraio siriano, di limitare i costi e di evitare le perdite. Ma per raggiungere quali finalità politiche? Perché il ritiro è stato annunciato proprio nel giorno in cui sono iniziati i negoziati di Ginevra? La risposta a tale interrogativo dà la chiave di lettura della logica seguita da Putin. La Russia non doveva impegnarsi troppo, per non mettere gli USA con le spalle al muro, provocandone la reazione. Non doveva neppure legarsi troppo ad Assad. Doveva evitare di perdere la sua libertà d’azione e di divenire possibile oggetto di ricatto del presidente siriano. Non doveva quindi farlo vincere troppo, consentendogli di raggiungere, con il solo aiuto dell’Iran e dell’Hezbollah, gli obiettivi che aveva annunciato: elezioni ad aprile, riconquista dell’intera Siria e nessun mutamento di regime. Tali obiettivi avrebbero prolungato la guerra, fatto inaccettabile per Mosca.

La “grande strategia” seguita da Putin sta divenendo chiara. Mosca vuole la pace in Siria. E’ l’unica che possa ottenerla, costringendo Assad a essere flessibile a Ginevra, cioè ad accettare compromessi con gli insorti. A Putin non interessa verosimilmente che Assad rimanga al potere, ma che i suoi successori garantiscano gli interessi della Russia in Siria, la sua presenza in Mediterraneo e un’influenza in Medio Oriente. Quest’ultima è possibile solo se Mosca non s’inimica del tutto i sunniti, schierandosi completamente a favore degli sciiti. Tali risultati possono essere raggiunti solo con i negoziati, non con la forza. Una completa vittoria militare sarebbe stata controproducente.

Mi sembra, quindi, corretto credere a quanto detto da Putin, che cioè gli obiettivi che si proponeva sono stati raggiunti, nella loro generalità. Lo sono stati beninteso sotto il profilo militare. Non lo sono ancora sotto quello politico. I primi, d’altronde, non saranno compromessi dal parziale ritiro annunciato da Putin. I russi manterranno le loro basi. Potranno rischierare rapidamente gli aerei in caso di necessità. Manterranno, nei pressi di Latakia, gli S-400, che renderanno impossibile alla Turchia la creazione di una no-fly zone o di aree rifugio, che le consentirebbero di sostenere i “suoi” insorti siriani.

Assad dovrà ridimensionare i propri obiettivi, nella misura che Putin gli imporrà. Anche i curdi siriani, che hanno proclamato la Rojava regione federata della Siria, dipenderanno dal sostegno russo per la loro sicurezza nei riguardi dell’ostile Turchia. Allenteranno, quindi, i loro legami con gli USA, troppo legati ad Ankara. L’Europa, spaventata dalle ondate di rifugiati siriani, sarà grata a Mosca che, a differenza di Washington, le avrà risolto il problema. La “grande strategia” di Putin avrà allora pieno successo. Nuovi equilibri s’imporranno non solo in Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale, ma anche in Europa.

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