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Il vero problema di Renzi è lo stock di debito pubblico

MATTEO RENZI

Due anni fa Matteo Renzi vedeva la ripresa dietro l’angolo. La luce del pil in crescita gli appariva chiara in fondo al tunnel della crisi e a portata di mano. Così decise di far fuori Enrico Letta dopo avergli comunicato con l’ormai famoso tweet #Enricostaisereno ben altre intenzioni. Renzi non voleva farsi scappare la ghiotta occasione della ripresa e del pil in rialzo per metterci sopra il suo cappello politico e incassarne il dividendo elettorale. Invece l’economia italiana non si è rimessa in moto. Il primo biennio del governo Renzi si chiude con un consuntivo modestissimo: lo 0,1% medio annuo di crescita del pil e con un quarto trimestre 2015 in sensibile rallentamento e ancora da +0,1%. Oggi il target dell’1,6% fissato dal governo per l’anno in corso appare un obiettivo impossibile.

Ma il vero problema di Roma e del premier è lo stock di debito pubblico. Troppo elevato per essere credibilmente sostenibile da un’economia che non sa più crescere e con una produttività dei fattori produttivi stagnante da 15 anni. Oggi il debito pubblico è finanziabile a tassi sostenibili solo perché la Banca centrale europea ha spinto il costo del denaro a livelli storicamente bassi. Ma una nuova tempesta, capace di riallargare lo spread, sarebbe fatale. Lo stock del debito e l’importo degli interessi passivi che ogni anno vanno pagati dalle imposte sono le catene più insidiose per l’economia italiana, quelle che piombano le ali alle politiche pro investimenti.

E sono anche la preoccupazione della Bce e delle autorità europee. La lettera che sarà recapitata questa settimana al governo italiano rappresenta l’ennesimo richiamo, quelli del presidente della Bce Mario Draghi sono così numerosi da far diventare difficile tenerne il conto esatto, da parte della Commissione Eu a fare più sforzi per ridurre il debito. Ma Renzi non riesce a fare una vera spending review che riduca strutturalmente la spesa pubblica corrente e mandi ai mercati il segnale più atteso. Così agendo, il premier non guadagna prezioso tempo politico, come lui pensa, non inimicandosi gli elettori che subirebbero i tagli.

Renzi sta più semplicemente schiudendo le porte a un’imposta patrimoniale. L’unica in grado di produrre un effetto scalino al ribasso nel rapporto tra debito pubblico e pil. L’unica in grado di recuperare a tassazione l’evasione che per decenni è stata incassata da gran parte degli italiani e trasformata in patrimonio dalle forme poliedriche. La patrimoniale non è mai un’esperienza positiva, ma quando si applica in un’economia dall’evasione fiscale strutturale può anche essere considerata come una forma di giustizia redistributiva. Riduce il debito pubblico, dà slancio al pil futuro e redistribuisce il carico fiscale. Tocca a Renzi l’onore della manovra.

(Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

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