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Ecco come Isis usa l’acqua come arma di guerra

Nonostante la quiete dell’accordo sul cessate il fuoco, la Siria vive ancora l’emergenza umanitaria della siccità. La scarsità dell’acqua è aumentata da quando a fine novembre l’aeronautica russa colpì il principale impianto di trattamento di risorse idriche di Aleppo, controllato dagli jihadisti dello Stato Islamico. Secondo l’ultimo report di Unicef, circa 1,4 milioni di persone sono rimaste a secco. La città è stata 48 giorni senza acqua. “La situazione generale è migliorata dall’inizio dell’accordo; riusciamo a procurarci quasi tutto tranne l’acqua”, ha detto all’agenzia Afp Abu Nidal, siriano, 60 anni, residente nel quartiere ribelle di Al Maghayer ad Aleppo.

L’ACQUA SUI SOCIAL NETWORK

Uno studio dell’Osservatorio siriano dei diritti umani indica che le zone sotto il controllo del regime di Assad sono quelle più colpite dalla mancanza di acqua a causa della maggior densità demografica. Per capire quando vengono rifornite le cisterne, i vicini comunicano attraverso i social network: un messaggio su Facebook, WhatsApp e chi ha accesso ad internet può arrivare per primo. Anche le mappe dei pozzi realizzati dalla Croce rossa internazionali sono molto utili.

I PRECEDENTI

L’uso dell’acqua come arma di guerra non è nuovo. Nella Prima Guerra Mondiale, il Belgio aprì le dighe dei fiumi e canali che sboccano nel mare del nord a Nieuwpoort per inondare la pianura di Yser e mettere fine alla carneficina delle truppe tedesche. Durante la guerra tra Cina e Giappone nel 1938, il leader militare Chiang Kai-shek ordinò fare esplodere le dighe del fiume Giallo a Henan, ma senza il risultato programmato: più di 800mila civili morirono affogati.

LA STRATEGIA DI ISIS

Un reportage di Deutsche Welle sostiene che lo Stato Islamico si è impossessato delle dighe al nord dell’Irak e della Siria. Di otto dighe importanti dei fiumi Eufrages e Tigris, l’organizzazione terroristica ne controlla sei, e ne attacca continuamente una settima. Secondo il ricercatore tedesco Tobias von Lossow della Stiftung Wissenschaft und Politik, l’Isis sfrutta l’acqua come un arma: “Da una parte, immagazzina e ritiene l’acqua per fare restare a secco alcune regioni e tagliare il somministro a intere popolazioni e comunità. Da un’altra parte, affoga letteralmente alcune regioni per fare scappare gli abitanti e distruggere i pochi alimenti di sopravvivenza”.

AVVELLENAMENTO DELL’ACQUA

Secondo Von Lossow, attualmente tutte le parti coinvolte nella guerra civile siriana usano l’acqua come arma di guerra, ma nessuno come l’Isis. A maggio del 2015, l’organizzazione terroristica conquistò la diga di Eufrate a Ramadi per limitare il rifornimento dell’acqua a cinque province. Nel 2014, liberò le acque vicino a Falluja, costringendo 600mila persone a fuggire dalla zona. Oltre a provocare inondazioni e tagliare il somministro dell’acqua, l’Isis contamina e avvelena. A dicembre del 2014, i jihadisti contaminarono con petrolio l’acqua potabile al sud di Tikrit. A luglio del 2015 volevano ripetere l’attacco in suolo europeo, a Pristina, ma sono stati bloccati prima.

IL CASO AFRICANO

Nel continente africano, anche altre organizzazioni terroristiche islamiche, come Boko Haram e Al Shabaab, sfruttano l’acqua come arma terroristica. “L’emergenza siccità in Etiopia è ormai al limite. E i trafficanti di esseri umani sono pronti ad  approfittare della crisi”. La denuncia è stata lanciata da Nico Lotta, presidente del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo. In un comunicato stampa, l’associazione ha spiegato che a causa del fenomeno climatico El Niño, l’Etiopia sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi 60 anni. “La più lunga stagione delle piogge (kiremt), che rifornisce d’acqua oltre l’80% dell’agricoltura locale, nel 2015 non si è manifestata. E oltre 10 milioni di persone sono a rischio fame, soprattutto in alcune aree del Sud ed Est del Paese. Secondo le stime delle Nazioni Unite, la produzione agricola è crollata dal 50 al 90% nelle regioni colpite”.

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